Dalle palazzine del Nuovo Salario agli uffici delle multinazionali nei grattacieli di Milano. Dai primi dischi autoprodotti, registrati con pochi mezzi negli scantinati della periferia romana, alla firma del «più importante contratto discografico degli ultimi 10 anni della musica in Italia» (le parole sono le sue). La cifra si aggirerebbe intorno ai 7 milioni: lui tiene la bocca cucita. E lo stesso fa quando gli chiedi la cifra del contratto overall deal che ha firmato con Amazon Prime, «uno dei più importanti d’Europa». E mica per fargli i conti in tasca, ma per capire quanto può valere una forma contrattuale del genere che vincola un artista a 360 gradi: nel suo caso, per due anni ogni forma di espressione, dalla musica al cinema, potrà essere sfruttata da Amazon. Con la sua comunicazione spericolata, Achille Lauro sa come attirare l’attenzione. Due anni dopo il Sanremo di “Rolls Royce” la figura del poeta maledetto della trap degli esordi ha lasciato il posto a quella di un imprenditore estroso. Che sa bene come vendere quello che fa. E sé stesso. Dalla criptoarte (la società MK3, nata da un’idea di Lauro stesso e il suo manager Angelo Calculli, ha appena firmato un contratto con Gian Luca Comandini, autorità in materia di Blockchain e NFT) alla collaborazione con Gucci: il 31enne artista romano racconta cosa c’è dietro le sue scelte.
Lauro, qual è il suo modus operandi?
«Quello delle aziende di successo, le stesse che vedono in noi artisti un brand con un’identità forte e ben definita».
Sta dicendo di essere un marchio?
«Achille Lauro in effetti è un progetto dietro a cui lavorano tante persone, dove nulla è lasciato al caso. Io ho seguito e seguo ogni passo curandone ogni dettaglio».
L’esperienza da imprenditore come se l’è guadagnata?
«Penso non servano necessariamente università o master per lavorare in questo mondo».
Cosa serve, allora?
«Formarsi costantemente. Non si può andare alla cieca: bisogna essere preparati e circondarsi di gente altrettanto preparata».
E lei come lo fa?
«Stando attendo quello che succede. Ora, ad esempio, è il momento degli NFT…».
La criptoarte, volume d’affari di 2,47 miliardi nel primo semestre del 2021.
«Secondo me siamo di fronte ad una rivoluzione. Abbiamo visto crollare il mondo della musica e dei giusti compensi a chi lavora alla composizione di brani. Abbiamo seguito la tecnologia che ha rotto tutte le catene di retribuzione precedenti. Penso sempre però che tutto abbia un senso».
Cosa c’è in ballo?
«Introdurremo nel mercato musicale nuove e innovative forme di business in favore degli artisti che spesso basano le proprie economie solo sulla discografia. Gli NFT potrebbero essere una chiave di volta impressionante. Ci credo molto».
La comunicazione oggi è più importante di ciò che si comunica?
«No, ma è importante allo stesso modo».
Operazioni come l’accordo con Amazon Prime sono più operazioni di marketing o più operazioni artistiche?
«Non è un progetto basato sul marketing, ma sulle idee e sulla creatività».
Un accordo del genere, che la vincola per due anni ad un colosso come Amazon, non limita la sua creatività?
«Preferisco non rispondere».
Ci dica allora cosa prevede questo contratto.
«La produzione di contenuti d’intrattenimento, filmografia, serie, documentari e format streaming. Ho cominciato questa collaborazione con la produzione di colonne sonore, inediti e la partecipazione al film “Anni da Cane”».
Canta, sfila, scrive, recita: ma insomma, che lavoro fa esattamente Achille Lauro?
«Non mi piace definirmi in ruoli precisi».
I dischi, l’attività di Dogma95, la società dedicata al mercato degli showcase e degli eventi privati, Amazon, la collaborazione con Gucci: quale tra queste quattro rappresenta la sua principale fonte di guadagno?
«Anche su questo preferirei non rispondere».
Cosa vedono i brand in lei?
«Dovremmo chiederlo a loro. Penso apprezzino il mio gusto e il mio modo di fare musica. Ho una personalità chiara quando mi esprimo».
È pronto per fare un passo nella moda con una linea tutta sua?
«In questi anni ho affinato molto il mio occhio sul mondo dell’high fashion».
Parla dell’alta moda?
«Sì. Ho fatto molta ricerca. È un passo che mi interessa fare, ma lascio parlare il tempo».
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