Battery swap, la batteria di auto e scooter non si ricarica ma si sostituisce: bastano 277 secondi

Riportare i vuoti e prendere i pieni. Oggi succede, ad esempio, con le cartucce delle stampanti. Una volta per le bibite gasate. Domani potrebbe accadere per le batterie delle auto elettriche. Tecnicamente si chiama battery swap, letteralmente “scambio della batteria” e sta tornando in auge dopo anni di oblio. Il sipario si era chiuso nel 2013 con la clamorosa bancarotta di Better Place, la start up fondata dall’israeliano Shai Agassi che è riuscita a bruciare 850 milioni di dollari per allestire 1.400 Renault Fluence a scambiare le batterie scariche con quelle cariche presso stazioni attrezzate. Anche Tesla aveva preso in considerazione l’idea concludendo ben presto che era meglio una rete di ricarica ad altissima potenza. Agassi in realtà non aveva inventato nulla. Ci aveva già pensato nel 1896 la Hartford Electric Company e dal 1910 al 1924 fornì questo servizio alla General Vehicle Company, sussidiaria della General Electric, permettendo ai mezzi elettrici del loro parco di percorrere complessivamente 10 milioni di chilometri. Lo schema era già straordinariamente attuale: il cliente pagava solo il veicolo senza batteria e una quota fissa più una variabile legata alla percorrenza per il servizio di scambio. Dunque la batteria, che è il nocciolo duro del costo di un’auto elettrica, non si paga e diventa un BaaS (Battery as a Service). Sarebbe però necessario che tutte le auto elettriche avessero batterie con alloggiamenti standard. Come è noto, così non è, eppure in parecchi hanno tornato a pensarci. Il caso più famoso è quello di NIO che in Cina ha già impiantato 193 stazioni completamente automatizzate per le quali ha depositato oltre 1.200 brevetti e capaci di compiere lo “swap” sulle loro vetture in 277 secondi, meno del tempo necessario per un pieno di benzina. A conti fatti, vuol dire 312 scambi al giorno. Nio ha annunciato a marzo di aver superato i 2 milioni di swap, di voler raggiungere 500 stazioni entro la fine dell’anno e di volerle introdurre anche in Norvegia. Per il cliente vuol dire pagare la vettura l’equivalente di 9.000 euro in meno e pagare circa 130 euro al mese per scambiare una bella batteria da 70 kWh tutte le volte che si vuole. Ci sono formule più convenienti o altre che prevedono l’upgrade automatico con batterie più avanzate e capienti. Anche Geely ha una sua soluzione da 60 secondi, ma solo in Cina per mezzi dedicati ad un servizio di NCC denominato CaoCao. Parliamo del proprietario di Volvo, della London Taxi EV Company e della Lotus nonché possessore del 7,9% di Volvo Group e del 9,7% di Daimler. Dunque, uno stakeholder capace potenzialmente di imporre il proprio standard.

ANCHE PER I CAMION

Persino la stessa Renault, per bocca del ceo Luca De Meo, starebbe riconsiderando la questione mentre in Germania il Ministero per gli Affari Economici e l’Energia ha finanziato con 6,5 milioni di euro la Technical University di Berlino per studiare lo scambio di batteria per i camion. E se è vantaggioso per loro, potrebbe esserlo anche per i bus e per tutte le flotte con mezzi dedicati. Nella mischia si sono gettate anche alcune start-up come la californiana Ample, capace di attirare le attenzioni di Shell e Repsol che vi hanno messo 55 milioni di dollari. Ma il progetto più promettente è quello di Honda, KTM, Piaggio e Yamaha che hanno stabilito un consorzio per sviluppare batterie standard da utilizzare e scambiare sui loro mezzi. Una mossa che coinvolge un massa critica potenziale di milioni di unità all’anno. Il battery swap offre anche altri vantaggi. Le batterie standardizzate infatti costerebbero meno, grazie alle economie di scala, e sarebbero più facile anche la loro gestione, dalla fabbricazione fino al recupero. Infine, la produzione e la distribuzione dell’energia sarebbero ottimizzate. Di contro, chiede una logistica complessa e soprattutto investimenti iniziali poderosi oltre a veicoli sviluppati specificamente o adattati. Avverrà lo scambio? Il tempo dirà.

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