Le batterie, il nuovo “motore” dell’auto. Chi l’avrebbe mai detto, nell’era della mobilità a combustione, quando l’oro nero era il padrone incontrastato del vapore, che l’inerme “contenitore” di energia sarebbe diventato più importante del “cuore” dei veicoli a scoppio. L’apparato propulsivo. Rassegnatevi, almeno per il momento, è sicuramente così. Il tecnologico mondo del terzo millennio ha improvvisamente scoperto che, nel campo degli accumulatori, l’industria si era un po’ seduta. Ed era indietro nell’orologio dell’innovazione. Molto indietro. Investimenti erano stati fatti sul mercato globale per mettere a punto “stoccaggi” di energia in piccole quantità, per lo più per alimentare mini device imbottiti di elettronica che non dovevano spostare “carichi pesanti”. Su questo punto, forse, qualche colpa, ingegneri e top manager, l’hanno avuta. La svolta verso la transizione energetica e la mobilità sostenibile poteva essere certo anticipata e resa più graduale, senza aspettare che i legislatori cavalcassero in modo risoluto l’onda del rispetto ambientale. I tempi erano maturi, ma il minestrone che bolliva in pentola era ben nascosto dal coperchio a pressione. Quando è saltato, il botto si è sentito forte. Sembrava il boom di un aereo supersonico. In appena un decennio le performance degli accumulatori sono aumentate di dieci volte e i costi calati drasticamente. Ecco, questa è la prova che qualcuno si è distratto, ignorando una componente fondamentale per realizzare l’habitat senza emissioni, cioè “carbon free”. A suonare la campanella dell’ultimo giro è stato il solito Elon Musk e gli emergenti cinesi. Se i costruttori tradizionali non fossero stati rapidi a reagire, non solo l’inventore sudafricano sarebbe diventato l’uomo più ricco della terra come è avvenuto, ma la sua Tesla avrebbe guadagnato la testa della classifica di capitalizzazione. Sia come sia, la svolta c’è stata e indietro non si torna. L’automotive, adesso, viaggia alla velocità della luce e, si dice, che in un prossimo futuro, avrà l’onore-onere di allocare un bottino di 5 mila miliardi, più del Pil trimestrale della corazzata Stati Uniti. Sarà vero? Molto probabilmente sì. Con questa astronomica cifra si darà una vigorosa verniciata al pianeta, rendendo il business della mobilità uno dei più verdi in “assoluto”. Una cosa è scontata.
TUTTO È INEDITO
Se prima le un po’ obsolete e difficili da sviluppare piattaforme automobilistiche termiche costavano qualche miliardo, ora sulle nuove architetture elettriche i costruttori ne stanno investendo decine. Tutto è inedito. Il foglio da cui si è partiti, questa volta, era veramente candido. Quasi metà del valore di questi progetti è costituito dagli accumulatori, la componente che più cambierà nel prossimo futuro e si porterà dietro il layout dei veicoli stessi. Migliorando vivibilità e prestazioni. Le batterie, infatti, in questa fase embrionale dell’elettrificazione, pesano e ingombrano, hanno una “densità” che si deve decisamente migliorare e costi che possono essere abbattuti attraverso l’uso di materiali meno nobili e le economie di scala. I progressi fatti lo scorso decennio, da parte dei più, restano enormi e sono sotto gli occhi di tutti. In una prima fase le case tradizionali apparivano impacciate. Forse “spacciate”. Non conoscevano la nuova powertrain ad induzione (partendo dagli accumulatori fino al raffinato apparato propulsivo) e avrebbero dovuto acquistarla in toto dai fornitori, trasformandosi in meri assemblatori che controllano solo una parte marginale della catena del valore. Nulla di più sbagliato. Negli anni finali della motorizzazione endotermica, i costruttori di veicoli lavoravano su temi magari poco ambiti dai talenti che oltretutto garantivano ritorni bassi. Erano, però, sempre dei giganti, con la capacità unica di gestire le complessità e, cosa non di poco conto, davano e danno lavoro a milioni di dipendenti, decine di migliaia dei quali altamente qualificati. Così, specialmente le aziende più strutturate e lungimiranti, che si impegnano quotidianamente anche su scenari futuri, hanno immediatamente intuito che bisognava trasformare l’apparente impasse in un’opportunità, riportando in casa tutto il valore possibile. Guai per loro se non fosse stato così. Le fasi di transizione offrono sempre straordinarie chance di cambiamento ed è fondamentale strutturarsi. I cinesi non sono fessi. Hanno metabolizzato che i marchi storici e tecnologici, anche se in ritardo, non avrebbero mai lasciato alla new economy l’affare d’oro delle batterie. Questi, a loro volta, mentre continuano a produrre le vetture tradizionali per far girare le fabbriche e, soprattutto, alimentare una domanda ancora corposa, si sono gettati a capofitto per rimodellare il loro network progettuale e industriale. Per adeguarlo, il più velocemente possibile, al nuovo scacchiere.
LA POTENZA DELLE CELLE
Non solo batterie. Chi ha detto che i motori elettrici sono tutti uguali? Non è affatto vero. Certo, non si potranno più distinguere dal sound perché sono silenziosi come pantere, ma i propulsori della Bmw, del Volkswagen Group o della Toyota (solo per citarne alcuni) avranno molto di inedito perché tutti li stanno progettando nei loro segreti laboratori. Veniamo agli accumulatori. Che i costruttori dovessero occuparsi da subito dell’assemblaggio del “pacco” per modellarlo alle proprie esigenze e necessità si è percepito da subito. Così è stato fatto. Non è difficile, basta acquistare le “celle giuste” che sono il vero segreto del sistema, i cromosomi del Dna. Qui il boccino era in mano a start up specializzate nate per l’occasione o ad aziende di elettronica che rifornivano altri settori. Bene, i colossi dell’auto hanno messo le mani anche sulla parte sensibile, studiando in proprio le celle o collaborando in joint venture con i protagonisti incapaci di ignorare le reazione degli “automobilari”. L’approccio è cambiato ed i risultati sono stati immediati. Quando non si può vincere è meglio allearsi. I costruttori vogliono sapere tutto delle componenti montate sui loro veicoli. La Nissan Leaf di Carlos Ghosn (Auto dell’Anno nel 2011), la prima vera auto ad elettroni dell’era moderna, andava più o meno come le attuali, ma aveva una capacità degli accumulatori di 24 kWh e una velocità di ricarica di 50 kW. Oggi, anzi già da un paio d’anni, ci sono gioielli (le “cugine” Porsche Taycan e l’Audi GT su tutte) con impianto a 800 volt e batterie da un centinaio di kWh che ricaricano ad una velocità di 270 kW. Come dire, il pieno in una manciata di minuti. Ma è solo uno step, si andrà parecchio avanti. Il professor Musk ha messo in piedi un sistema quasi chiuso, interamente da lui controllato. Ha allineato tutta la filiera: le colonnine, il tempo di ricarica, la capacità delle batterie. Tesla ha già in produzione la Model S con oltre mille chilometri di autonomia e presto arriverà la Roadster con un pacco accumulatori da 200 kWh e 0-100 in poco più di un secondo. E non è ancora la tecnologia allo stato “solido”. Le batterie devono progredire in fretta se vogliono vincere la sfida con l’idrogeno per alimentare le vetture elettriche di domani.
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