Il Giro d’Italia non è solamente uno spettacolo tecnico e turistico, ma anche la vetrina di grandi innovazioni tecnologiche. Alcune sono alla luce del sole, perché visivamente impattanti, altre vengono date per scontate, conosciute nell’ambiente ma altre sono sconosciute ai più. Ecco, quindi, una selezione di curiosità tecnologiche protagoniste nella Corsa Rosa, partita da Torino l’8 maggio e che si concluderà a Milano il 30 dopo 3.479 chilometri. Questa la settimana decisiva.
L’ABBIGLIAMENTO
Intanto una conferma. Anzi, il Giro una conferma rafforzata sulla sua anima green: le quattro maglie del 2021 sono caratterizzate dal tessuto Native by Sitip in filato riciclato, eccellenza italiana del tessile tecnico sostenibile. Che cosa accomuna il rosa, il ciclamino, il bianco e l’azzurro? Il verde, appunto. Non si tratta di teoria dei colori ma di ciclismo e impresa che insieme possono fare molto per il pianeta. Dopo l’esperienza dell’anno scorso anche quest’anno il Giro ha optato per un basso impatto ambientale: al cuore delle quattro maglie iconiche, infatti, c’è il tessuto Sitip in filato riciclato, prevalentemente da bottiglie di plastica. Così la Maglia Rosa celebra i suoi 90 anni di storia e leggenda con un’intesa rinnovata: quella tra Castelli e la bellunese Manifattura Valcismon, punto di riferimento nell’abbigliamento da ciclismo, con Sitip. Non solo le maglie, però, guardano all’ambiente. Oltre alle scarpe – c’è la Limited Edition Mojito Bio di Scarpa, azienda di Jesolo – anche le borracce. NamedSport, infatti, produce la Hydra2Pro, completamente riciclabile e autodistruggente in un periodo che va dai 9 mesi e i 5 anni, una moto le fornisce ai fuggitivi assetati. In ogni tappa 5-6 aree GreenZone in cui gettare le borracce, lunghe qualche chilometro. Capita, però, che qualcuno, distrattamente o furbescamente, le getti anche fuori da queste zone: sono previste multe fino a 500 euro e le squadre si danno una mano a non prenderle. Valmora, l’acqua ufficiale del Giro, mette in campo qualcosa come 100mila bottigliette d’acqua in plastica riciclata e biodegradabile. E ovviamente le bici. A cominciare dalla Bolide di Pinarello condotta da Filippo Ganna, vista sfrecciare nella cronometro di apertura di Torino con buone probabilità la rivedremo in tutto il suo splendore all’Olimpiade di Tokyo. Non a caso, il suo valore dovrebbe aggirarsi tra i 25 e i 35 mila euro. Persino la colorazione è hi-tech: un blu brillante a specchio, una speciale vernice aeronautica che costa 1200 euro al chilo. Sul telaio ne sono stati messi 130 grammi, e il risultato è evidente: elegante e sfacciata. Il manubrio è in titanio, così come le viti, costruito in 3D sulla morfologia di Ganna e costa 15 mila euro. I cuscinetti ceramici come in F1 assicurano la massima scorrevolezza, con il cambio elettronico wi-fi Shimano, rapporto 60×11 e ruote Princeton aerodinamiche (costo: 5000 euro). Edizione speciale dedicata al Giro per Selle Italia con il sellino Flite Boost Superflow: l’azienda trevigiana la realizza in manganese.
I MATERIALI
Il telaio, prodotto in carbonio aeronautico Torayca T 1100 giapponese, è stato sottoposto a 300mila cicli di stress-test in tre giorni per valutarne resistenza e torsione. È un mercato estremamente di nicchia, ma Pinarello vende circa 400 pezzi all’anno della bici da crono di Ganna: 15mila euro, senza ruote. E poi il superbody di Castelli, marchio premium della Manifattura Valcismon di Fonzaso (Belluno), l’azienda della Maglia Rosa. Si chiama Body paint perché sembra disegnato sul corpo ed è l’evoluzione di quello usato nel 2020, fatto tutto a mano e testato in Galleria del vento al Politecnico di Milano. Il body ha tre tipi di tessuti diversi a seconda della zona di impatto dell’aria: sulle braccia, che intercettano il primo flusso, deve avere una struttura anti-turbolenza e vortici per non far staccare l’aria dal corpo. Le cuciture, poi, sono ridotte al minimo, perché interrompono il flusso dell’aria.
AL FOTOFINISH
Sempre più tecnologici i controlli. Non solo la Tac per la bici alla ricerca di eventuali motorini elettrici e la Var, che deve controllare l’esatta posizione dei ciclisti con almeno tre punti d’appoggio, ma anche il sistema di misurazione dell’arrivo. Dopo l’Amstel Gold Race e il super discusso arrivo al fotofinish tra Wout Van Aert e Tom Pidcock, che ha incoronato il belga ma sul quale rimangono moltissimi dubbi visto il posizionamento discutibile del fotofinish e dei transponder, è interessante capire come effettivamente funziona un fotofinish. Secondo regolamento UCI, è a qualche millimetro prima dell’arrivo in modo che vada a catturare l’esatto momento in cui la ruota della bicicletta sorpassa la linea d’arrivo. È posizionato in maniera necessariamente perpendicolare, ed è semplicemente una macchina fotografica con velocità d’esecuzione molto alta (4000 a 8000 foto al secondo, con un angolo di foto stretto). L’operatore del fotofinish lo attiva quando i corridori sono in vista del traguardo e ai fini della classifica è proprio il fotofinish quello che conta maggiormente. Il rilevamento che viene fatto coi transponder – posti sul carro della bicicletta dei corridori e con tre cavi sulla linea d’arrivo – serve solo come aiuto a stilare la classifica e calcolare i distacchi, infatti poi chi lavora coi timing confronta i risultati con chi lavora al fotofinish per poi annunciare la classifica ufficiale. C’è un software che elabora le foto e le mette in ordine temporale, quindi tutte le foto vengono prese quando ogni corridore transita sulla linea d’arrivo, non calcolando i distacchi. Le corse più ricche ne hanno due, in entrambi i lati della carreggiata, ma c’è anche chi ne ha tre con il terzo rialzato con un angolo di 45° in modo da riprendere la scena dall’alto e avere quindi più prospettive. Il Giro ne ha due. Più foto riesce a scattare in un secondo più è costoso.
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