Si chiama “Brigata controllo aerospazio”, ma non immaginate scenari e mostrine da Star Wars o Star Trek e nemmeno squilli di tromba come per la neonata Space Force degli Stati Uniti. A Poggio Renatico, alle porte di Ferrara, pensano al sodo e qualche giorno fa al Comando operazioni aerospaziali (Coa) hanno dedicato pochi minuti alla cerimonia di costituzione della Bca: poi di nuovo a testa bassa sugli schermi dei computer attraverso i quali sorvegliare lo spazio aereo nazionale e tutto ciò che orbita sopra le nostre teste fino a quota 36mila chilometri. E per “tutto ciò” si intende parecchia roba, ovvero 130 milioni di oggetti dalle dimensioni che vanno da un millimetro di diametro e pesanti meno di un grammo ai 100 metri della Stazione spaziale che stazza 450 tonnellate.
In mezzo migliaia di satelliti, operativi o fuori uso, che pesano da un chilogrammo a 8 tonnellate. Cifre da capogiro e cifre sempre variabili, perché poi capita anche che questi oggetti precipitino sulla Terra (vedi il rottame del razzo cinese Lunga Marcia). Ma nella storica base ferrarese dell’Aeronautica militare, che è anche determinante per la Nato, ci sono abituati: dal dopoguerra tutto ciò che vola, di civile e di militare, dalle Alpi al Canale di Sicilia, dalla Sardegna all’Albania, è tracciato dagli specialisti di questa base irta di radar e antenne e costruita paradossalmente a quota zero, nella “Bassa” della pianura padana un tempo brumosa.
EMERGENZE
E sempre da Poggio Renatico si tengono i collegamenti con le forze armate italiane schierate in mezzo mondo per operazioni di peacekeeping e si coordinano i voli di mezzi militari e civili in caso di soccorsi dopo le calamità naturali o di trasporti d’emergenza, che si tratti di persone o di qualche milione di dosi di vaccini anti-Covid. Qui un anno fa è nato il “Comando operazioni aerospaziali” che adesso dispone della Brigata e qui si resta di sale quando sul maxischermo della sala operativa appare la raffigurazione della Terra e della fittissima nube che l’avvolge: un folla di puntini colorati in cui i rossi (i satelliti operativi) sono in netta minoranza rispetto a blu, gialli e verdi dei satelliti dismessi o dei detriti spaziali dal diametro maggiore a 10 centimetri e quindi tracciabili.
Una delle sale di controllo dell'Isoc
«Va tutto tenuto sotto controllo – dice il colonnello Marco Galgani, senese, 54 anni, ex top gun sugli Amx, ora all’Ufficio generale per lo spazio dello Stato maggiore dell’Aeronautica – perché lo spazio è diventato definitivamente un ambiente operativo come lo è da un secolo il cielo solcato dai velivoli. Più in su, nello spazio, a livello mondiale si stanno definendo competenze e domìni che vedono sempre più attori in campo a cominciare dalle grandi potenze».
Fra le quali l’Italia c’è da sempre. «Sì, l’Italia è da sempre nel ristretto club delle nazioni ad alta competenza spaziale e si sta mantenendo al passo con i continui avanzamenti di tecnologie e strategie. Al vertice troviamo, istituito di recente, il Comando operazioni spaziali (Cos), organismo interforze dipendente dallo Stato maggiore della Difesa, mentre l’Aeronautica militare sovraintende il Coa di Poggio Renatico che controlla i cieli. Lì è stato da poco creato il Centro Space Situational Awareness che ha il compito di monitorare i satelliti ed i detriti spaziali, grazie anche alla collaborazione con Agenzia Spaziale Italiana, Istituto Nazionale di Astrofisica (che gestisce la Stazione radioastronomica di Medicina), Telespazio, aziende come Leonardo e Vitrociset, e Politecnico di Milano». Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e ora anche Italia (nonché la Nato) hanno allestito esplicite strutture militari destinate allo Spazio, qualcosa di più del cannone che, unico caso nella Storia, Kruscev volle a tutti costi installare su una navicella orbitante. «Partiamo da un dato di fatto molto banale – dice ancora il colonnello Galgani – I satelliti sono diventati indispensabili, vitali, in tutte le attività umane, non solo nelle telecomunicazioni, nell’osservazione della Terra o nelle previsioni meteorologiche, e quindi ogni nazione punta a salvaguardare l’operatività dei propri cercando di prevenire possibili malfunzionamenti, impatti con altri satelliti e urti con i pericolosissimi detriti spaziali. Rottami che poi possono cadere verso la Terra: è vero che l’attrito con gli strati più bassi dell’atmosfera li distrugge in fortissima percentuale, ma è chiaro che serve un sistema per monitorare ogni rientro e prevedere ogni rischio per le zone abitate».
SPIONAGGIO
Nel 2018 la Francia ha accusato la Russia di avere spinto un suo satellite a ficcare il naso troppo vicino a un satellite franco-italiano: venne usata apertamente la parola “spionaggio”. «L’attacco a un satellite può avvenire in tanti modi: il più semplice è quello di tirarlo giù con un missile (gli Usa lo fecero con un loro satellite fuori uso già a metà degli anni 80, l’India di recente, ndr) ma si è capito subito che era un metodo molto dannoso perché si creavano migliaia di detriti dannosi per altri satelliti. Oggi si parla soprattutto di cyber-attacchi, nello spazio o nelle basi di controllo a terra, per disturbare le comunicazioni. Per sventare queste minacce servono allora software sempre aggiornati, computer potenti, sensori ottici e radio e molto ingegno, perché le variabili aumentano di giorno in giorno. Poi sono in arrivo satelliti che con vari sistemi (bracci meccanici, magneti, persino reti metalliche, ndr) potranno catturare satelliti fuori uso o rottami». In marzo due satelliti (Usa e Cina) sono esplosi nella stessa settimana. «E altri – riprende Galgani – possono uscire accidentalmente dalle loro orbite. Almeno un paio di volte l’anno può capitare di dover emettere degli avvisi per prevenire collisioni. E, naturalmente, l’Aeronautica Militare è stata in prima linea nel sostenere la Protezione Civile, nei giorni scorsi, per il caso del razzo cinese». La Difesa ha anche dimostrato come spostare su un orbita-cimitero, in maniera sicura, un satellite giunto a fine vita. «Proprio la settimana scorsa il Cos, tramite il Centro Interforze Gestione Controllo Sicral di Vigna di Valle (Roma), ha spostato in un’orbita “cimiteriale” il satellite militare Sicral 1 lanciato nel 2001: sono serviti più di 12mila comandi per dirigerlo in una zona dello spazio dove non darà fastidio».
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