L'idrogeno sale sui treni, viaggeremo a vapore

Il futuro delle ferrovie sono treni superveloci, più simili a missili su rotaie oppure a vapore. Ebbene sì, a vapore. Ma non andranno a carbone e non ci riporteranno all’800, anzi ci trasporteranno nel futuro sfruttando l’elemento chimico del quale l’universo è più ricco, ovvero l’idrogeno, e sfruttando la tecnologia delle pile a combustibile o fuel cell. Si tratta di speciali scatole, provviste di particolari membrane, dove l’ossigeno contenuto nell’aria viene fatto incontrare con l’idrogeno. Il risultato è una quantità enorme di energia elettrica e un solo prodotto di scarico: vapore, dunque acqua dalla quale l’idrogeno stesso può essere ricavato. Una prospettiva romantica e perfettamente circolare che è destinata a diventare realtà anche sulle rotaie del nostro paese, grazie ad un accordo tra FS Italiane e Snam che hanno firmato una lettera di intenti per valutare la fattibilità tecnico-economica e nuovi modelli di business legati allo sviluppo e la diffusione dei trasporti ferroviari a idrogeno in Italia.

Mobilità in Italia, le auto elettrice fanno boom: hanno scavalcato le diesel

Gigafactory, l'Europa punta a fare il pieno di energia

Autostrade digitali per viaggiare più veloci e sicuri

 

LE EMISSIONI DI CO2

Ma perché l’idrogeno è necessario ai treni? Perché il 40% delle linee ferroviarie europee non è elettrificata e gli unici treni a poterci viaggiare sono ibridi in serie che hanno un grande motore diesel incaricato di produrre a bordo l’energia elettrica necessaria a farlo muovere. In Italia, su 24.500 km di rotaie gestite da Reti Ferroviarie Italiane (RFI), 4.763 km non sono elettrificate, dunque quasi il 20%, e in Sardegna e Val d’Aosta questa percentuale tocca il 100%. Ecco perché FS Italiane vuole sostituire i carburanti fossili con l’idrogeno e migliorare le performance ambientali di un settore che, come molti altri – trasporto marittimo, aereo, pesante, mezzi industriali e altri ancora – ha difficoltà oggettive per abbattere le proprie emissioni di CO2. Tecnicamente, sono definiti “hard-to-abate” e producono un quinto delle emissioni totali di CO2, dunque agire su di essi è essenziale per raggiungere l’obiettivo dell’Unione Europea di azzerare l’impronta di anidride carbonica nel 2050. Secondo la società di consulenza Roland Berger, i treni a idrogeno rappresenteranno il 20% di tutto il traffico ferroviario europeo. Le istituzioni, l’industria e il mondo della ricerca si stanno già muovendo e le soluzioni sono già pronte.

GLI INVESTIMENTI

In Italia i primi saranno FNM e Trenord che hanno firmato un accordo per il progetto H2iseO: 160 milioni di euro per fare del Sebino e della Valcamonica la prima Hydrogen Valley italiana dal 2023 acquistando 6 treni a idrogeno (con opzione per altri 8) e costruendo 2 impianti di idrogeno verde, ovvero ricavato dall’acqua per mezzo di elettrolizzatori utilizzando energia rinnovabile. Per i primi due anni sarà usato invece idrogeno cosiddetto blu, ricavato attraverso reforming da metano e biometano catturando la CO2 prodotta. C’è già un opzione per altri 8 treni che sono i Coradia Stream prodotti dalla Alstom, capaci di raggiungere 140 km/h e che, con il nome di iLint, hanno già percorso oltre 250mila km sulle rotaie tedesche dal 2017. I treni dell’azienda francese – che è presente industrialmente anche in Italia – sono al centro di analoghi progetti pilota in Austria, Danimarca, Belgio, Olanda, Norvegia e nel Regno Unito. Anche altri giganti del settore, come la Siemens e la cinese CRRC Qingdao Sifang, hanno pronto il loro treno a idrogeno. Il Canada ha il progetto Hydrail, anch’esso con Alstom, mentre negli USA nel 2024 saranno pronti i Flirt H2 della Stadler, operativi nell’area di San Bernardino, in California. Anche uno dei costruttori di grandi motori diesel come la Cummins, con sede a Columbus nello stato dell’Indiana, ha già diversificato il suo business verso le fuel cell in previsione della transizione verso l’idrogeno. La Hitachi, anch’essa presente in Italia, in Giappone sta studiando l’HyBARI (HYdrogen-HYBrid Advanced Rail Vehicle for Innovation). Sarà operativo dal 2022 sulle linee della East Japan Railway e monta stack di celle a combustibile prodotte dalla Toyota derivate da quelle del modello Mirai. Toyota, Honda e la coreana Hyundai possiedono le migliori competenze tecniche ed industriali per produrre celle a combustibile che, per struttura e dimensioni, sono modulari e applicabili a qualsiasi mezzo di trasporto, in particolare, a quelli di grandi dimensioni dove la sistemazione dei grandi serbatoi cilindrici a 700 bar non rappresenta un problema e la densità di potenza delle fuel cell batte nettamente le batterie. Ad esempio, gli stack della nuova Mirai sono cubi del volume di 24 litri capaci di erogare 128 kW.

LE MERCI

Una prospettiva interessante dunque per i treni, non solo per il trasporto locale, ma anche per le merci e per una diversa visione della mobilità. L’automobile a idrogeno infatti esiste da anni, ma non è riuscita ad affermarsi. Questa rivoluzione potrebbe riuscire ai treni trainando tutti gli altri sistemi di trasporto e svolgendo un ruolo di antropizzazione tecnologica analogo a quello che la ferrovia ebbe agli albori sui territori. Intorno agli impianti di produzione di idrogeno per i treni potrebbero svilupparsi infatti veri e propri sistemi economici circolari, dotati di logistica e mobilità integrata basati sulle energie rinnovabili. Non a caso, Trenord sta pensando di convertire a idrogeno anche i 40 bus che gestisce in Valcamonica e c’è il potenziale per una multimodalità che coinvolga anche i mezzi commerciali e i camion. Tutto ad emissioni zero, decarbonizzato. E a vapore.

Potrebbe interessarti anche

Ultimi articoli pubblicati