Quando atterri a Pechino o Shanghai, fingiamo di essere ancora in epoca pre-Covid, e accendi lo smartphone scopri che i servizi Google non funzionano, Facebook neppure e se provi a utilizzare la rete WiFi gratuita dell’aeroporto senza un profilo WeChat (il social onnipresente cinese) riesci a fare poco o nulla. Basta questo a spiegare come il ban, il divieto, che Donald Trump, ha disposto contro il colosso cinese Huawei, abbia radici lontane. «Per gli americani la risposta ai divieti tecnologici imposti dai cinesi sono ragionevoli e simmetrici» avverte Alec Ross, visiting professor alla Bologna Business School, già consulente di Barack Obama e Hillary Clinton.
RAPPORTI
Dietro alla mossa di Trump, ci sono ragioni economiche, certo, perché la crescita irresistibile di Huawei e più in generale della Cina, è un problema, ma ci sono soprattutto motivazioni geopolitiche. Huawei già ha avuto un ruolo importante, in Occidente, nella realizzazione delle reti 4G, ma prima dello stop del presidente Usa, lo stava confermando anche per quelle 5G. Per gli americani, Huawei non è una brillante compagnia privata, ma è una entità legata a doppio filo con lo Stato e con l’Esercito cinese. E se il Regno Unito ha seguito gli Usa in Italia, la situazione è maggiormente fluida. «Il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica ha più volte espresso le sue preoccupazioni in relazione all’utilizzo di tecnologia cinese nel campo delle Tlc» ha spiegato il presidente del Copasir, Raffaele Volpi; il segretario di Stato americano, Mike Pompeo ha fatto pressioni sull’Italia perché freni l’avanzata cinese nella realizzazione di infrastrutture 5G. In sintesi: se per il comune consumatore italiano la revoca del ban di Trump riguarda soprattutto la possibilità di usare il Play Store di Google sul nuovo smartphone Huawei (che intanto ha sviluppato un servizio operativo alternativo a quello di Android), su scala mondiale, il futuro del 5G è uno degli scenari più delicati di geopolitica. E cosa succederà da gennaio quando alla Casa Bianca s’insedierà Joe Biden? Difficile pensare a una inversione a U. Cambieranno i modi, le strategie della trattativa, ma non il risultato finale.
AFFARI
Alec Ross è stato consulente dell’amministrazione Obama per le politiche tecnologiche e consulente per l’innovazione di Hillary Clinton. Spiega: «In un’amministrazione Biden, problemi come il 5G saranno visti nel contesto più ampio delle relazioni Usa-Cina. Trump ha considerato tutti i negoziati come se avessero un vincitore e un perdente. Sebbene la concorrenza tra Stati Uniti e Cina sia reale, non deve essere a somma zero. Questo non è il conflitto tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Biden ha una comprensione sofisticata delle grandi relazioni di potere, il 5G sarà valutato come sussidiario di questioni più ampie di concorrenza e collaborazione tra le tecnologie. Questo, a sua volta, sarà visto come sussidiario alla relazione più ampia». Saranno riaperte le porte a Huawei? No, lo scenario non è così semplice. Ricorda il professor Ross: «Per quanto riguarda i divieti tecnologici, ciò che alcuni europei potrebbero considerare controverso, la maggior parte degli americani ha ritenuto ragionevole o simmetrico. Amazon, Facebook, Google e molte altre società americane non possono fare affari in Cina. La Cina ha bloccato il Paese da 1,4 miliardi di persone alla tecnologia americana, quindi la lotta contro le tecnologie cinesi sensibili alla sicurezza non è vista come controversa. Per ogni tecnologia cinese che l’America tenta di bloccare, la Cina blocca dieci tecnologie americane». Cosa succederà se l’Italia non interromperà i rapporto con Huawei? «Se l’Italia spingesse forte sul 5G cinese nei suoi sistemi di telecomunicazioni non otterrebbe la risposta rabbiosa che avrebbe avuto da un’amministrazione Trump. Ma Biden vorrebbe avere un confronto sulle questioni relative alla sicurezza e sul 5G cinese». Sì, il problema è un po’ più ampio del fatto che sull’ultimo sofisticatissimo smartphone Huawei non potete usare Google Maps.
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