Plant-based: c’è chi la chiama dieta, chi pensiero, chi tendenza. E naturalmente chi cerca di cavalcarla con legittimi obiettivi economici. È l’alimentazione basata sulle piante, con cibi non sempre esclusivamente vegetali ma comunque prodotti senza il peggior sfruttamento di animali e consumo del suolo. In una parola: sostenibili. Per l’ambiente e il nostro stesso organismo. Sono i cibi di un futuro che è già oggi perfino nella nostra golosissima Italia.
SPECIALITÀ
Proprio ieri, per esempio, hanno fatto la loro prima apparizione nei Burger King italiani i nuggets di pollo mischiati a quelli di pollo vegetale. «Vediamo proprio se si riesce a capire qual è l’uno e qual è l’altro?», scherza Alessandro Lazzaroni, a capo della catena di fast food. «I nuggets – spiega – sono realizzati grazie alla collaborazione con l’olandese Vegetarian Butcher, specializzata in cibo a base di proteine vegetali (prevalentemente soia) che compete con la carne animale per gusto, consistenza e valore nutritivo». Già tante sono le aziende 100% italiane che alla fiera Cibus di Parma in settembre presenteranno la loro carne vegetale.
Tra queste anche big di altri comparti alimentari come Granarolo e Valsoia e firme come Zerbinati, Linea Verde e Natura Nuova. Leader mondiale, per ora, è la californiana Beyond Meat, sostenuta da Bill Gates e Leonardo di Caprio, che con 25 milioni di hamburger vegetali venduti lo scorso anno ha conquistato i cosiddetti flexitariani, i consumatori dall’approccio alimentare flessibile che vogliono limitare il consumo di proteine animali senza rinunciare al gusto della carne.
TRASFORMAZIONI
Accanto alla carne vegetale “stampabile” in 3D, tra le grandi novità dello scenario internazionale del food system ci sono le uova. In un laboratorio di San Francisco vengono ricreate a partire da essenze vegetali: fagioli banchi del Perù e della Thailandia, noci del Guatemala e il fagiolo mungo, cereale molto resistente alla siccità e ideale per l’apporto proteico. Quale sia il sapore degli insetti, nel mondo lo sanno già due miliardi di persone, ma quasi nessuno in Italia. Entro l’anno avremo però i primi cibi made in Italy con farina di insetti. Alla start up Fucibo attendono solo l’ultima autorizzazione europea. «Operiamo in questo settore – spiega uno dei cofondatori, Lorenzo Pezzato – ormai da 5 anni. Sarà una vera rivoluzione perché riteniamo di aver integrato l’eccellenza italiana nella gastronomia col nuovo e incredibile ingrediente». Da Olanda e Francia arriverà la farina di insetti che poi in Veneto, Lombardia e Piemonte diventerà pasta biologica, chips di mais (tipo patatine) cotte in forno e aromatizzate, crackers con semi di lino, sesamo e papavero. Tutti prodotti ricchi di proteine. «Gli insetti commestibili – afferma Pezzato – sono la fonte di proteine più abbondante, rinnovabile e completa sul pianeta». Per allevarli serve 100 volte meno acqua e 10 volte meno suolo rispetto ad un allevamento di bovini o suini. In un mercato che si stima nel 2023 dovrebbe valere tra i 50 e gli 80 milioni di euro solo in Italia e almeno 600 in Europa, Fucibo ha l’obiettivo di diventare il maggiore produttore italiano e il leader europeo nell’e-commerce.
RITORNO AL PASSATO
Il futuro è anche un ritorno al passato, come nel caso delle alghe di cui scriveva già Plinio il Vecchio e delle fermentazioni: il garum, impasto fermentato di muffa, sale e scarti animali in uso nell’antica Roma, è l’esempio più noto. Al Noitec Park di Bolzano le fermentazioni dei microorganismi sono studiate per inventare nuovi ingredienti alimentari, già di tendenza tra gli chef. Quindi non le immangiabili pillole energetiche o gli imbevibili beveroni Huel (Human Fuel, letteralmente carburante umano) e neanche organismi geneticamente modificati. Piuttosto, la moderna scienza genetica e biomolecolare ha l’obiettivo di restituire alle produzioni della terra le proprietà perse nel corso dei secoli, rafforzandone la capacità di resistere alle intemperie del tempo, consumando e avvelenando meno suolo, terra e aria. In questo l’Italia può già vantare dei risultati da opporre all’industria del cibo Frankenstein. «Una determinante spinta – afferma Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, associazione trasversale che riunisce produttori agricoli e industrie di trasformazione – può arrivare adesso dai fondi del Recovery Plan per l’agroalimentare. L’Italia ha un modello sostenibile virtuoso e alternativo a quello su cui puntano le multinazionali del cibo e quei fondi devono portarci verso la transizione ecologica».
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