E' davvero possibile sfidare laicamente la morte con la tecnica? Le istanze del transumanesimo, gli annunci roboanti di Elon Musk, stanno tracciando la via verso l’immortalità? Temi attuali su cui riflette Telmo Pievani, docente di Filosofia delle scienze biologiche all’Università di Padova e presidente della Società Italiana di Biologia Evoluzionistica. Nel suo ultimo libro, “Finitudine. Un romanzo filosofico su fragilità e libertà” (Raffaello Cortina editore, pp.280 16 euro) l’accademico 50enne racconta l’amicizia fra lo scrittore Albert Camus e il genetista Jacques Monod che si interrogavano proprio sul senso della vita dinanzi alla finitudine di tutte le cose. Il nostro futuro sarà nel segno di augmented humanity? Una tecnologia centrata sul corpo umano, provando a superarne i limiti imposti dalla natura, è un grande paradosso?
Lei scrive che “l’uomo è la sola creatura che rifiuta di essere ciò che è”. Quale futuro ci aspetta?
«Da filosofo della scienza, credo sia lecito il tentativo della tecnologia di superare i limiti imposti dalla biologia. Del resto, non dimentichiamo che la gran parte del nostro benessere deriva dall’aver sempre sfidato la Natura che è un sistema di cui facciamo parte, non un deposito di buoni giudizi morali. Per queste ragioni dobbiamo andare avanti senza illuderci».
Si riferisce alla ricerca dell’immortalità?
«Assolutamente. Medici e genetisti affermano che possiamo ambire ad un’età media che si attesti intorno ai 120 anni, al massimo. Ma il tentativo, la sfida stessa, è molto affascinante».
Professore, dica la verità: lei farà congelare il suo corpo?
«No, la criogenetica non mi hai mai convinto. Ci sono troppe incognite. Il congelamento avviene a morte avvenuta, quindi riponendo fiducia in una tecnologia futura che possa, non solo risvegliarci, ma anche curare il nostro corpo».
Sarà possibile?
«Oggi è molto improbabile. Ma ho un approccio laico, non dimentichiamo che un secolo fa avremmo considerato impensabile il congelamento e il successivo utilizzo degli embrioni umani. La scienza ha un elemento di serendipità che ti obbliga ad essere umile».
Intanto il miliardario Elon Musk, in diretta su Clubhouse ha annunciato che entro il 2021 impianterà un chip nel cervello umano. Siamo già a febbraio, è partito il conto alla rovescia?
«È un sogno condiviso, è già una linea di ricerca molto importante. Queste tecnologie hanno due linee di sviluppo, la prima è in chiave riabilitativa, provando attraverso dei chip a bypassare degli ictus per ottenere il recupero delle funzioni. L’altro filone, quello vaticinato da Musk, è più controverso, è l’augmented humanity ovvero il potenziamento delle capacità umane, sfidando i limiti imposti dalla biologia».
Quali sono le difficoltà?
«La nostra ignoranza. Il cervello è un sistema assai complesso. In quale punto andranno piazzati questi chip e con quali interazioni? E ovviamente, c’è il tema etico: un essere umano aumentato può andare alle Olimpiadi o sarà un doping tecnologico? Musk agisce nell’ambito della cybernetica ovvero nell’innesto fra tecnologia e biologia ma ciò spalanca uno scenario legato all’identità».
Ci spieghi meglio.
«Una protesi tecnologica che interviene sul cervello, il potenziamento della memoria o l’upgrade della conoscenza, implica uno slittamento della nostra stessa identità, del modo di pensare, in definitiva, del nostro universo esperienziale».
Ma con quali sentimenti dobbiamo approcciarci a questi scenari?
«Senza paure preconcette. Sarebbe un grave errore precludersi un futuro possibile. Anzi, dobbiamo puntare moltissimo sull’innovazione tecnologica e in maniera molto più convinta».
A chi saranno rivolte queste innovazioni?
«Creeremo nuove élite o sarà un benessere diffuso? O come direbbe Albert Camus, le innovazioni riusciranno a ridurre la quantità netta di dolore nel mondo? Questo sarà un punto cruciale del nostro futuro».
Una tecnologia che si smarca dai device e punta ad emulare la biologia umana, implementandola, è un paradosso?
«L’idea di una interazione diretta fra biologia e tecnologia è controversa ma molto affascinante. Ma non dimentichiamo che oltre il 40% del nostro dna non sappiamo ancora come operi. Dobbiamo fare grande attenzione pur senza smettere di sognare».
Esiste un limite?
«Certamente. Non tutto è possibile né auspicabile, eticamente parlando».
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