La scienza e le invenzioni stanno cambiando il modo di produrre il cibo: la carne coltivata nei laboratori non è più fantascienza e ottime verdure crescono rigogliose nelle vertical farm realizzate anche in Italia.
Ma è la stessa natura a cambiare l’agricoltura e la geografia delle produzioni agricole, sulla spinta di molteplici fattori di stress: pessime pratiche di coltivazione, uso irrazionale dell’acqua, abuso di diserbanti e fitofarmaci, distruzione di boschi, siccità, precipitazioni improvvise. «Ci troviamo ad affrontare – spiega Enrica Gentile, ad di Areté, agri-food intelligence company con sede a Bologna – i cambiamenti del clima e del meteo, che sono due cose diverse. Semplificando: il clima è l’innalzamento più o meno graduale delle temperature e dell’umidità; il meteo è l’insieme dei fenomeni estremi che sono andati aumentando negli ultimi anni e che rappresentano i rischi per i produttori agricoli».
ADATTABILITÀ
Clima e meteo modificano di conseguenza e per scelta dei produttori le coltivazioni nei diversi areali. «In pratica – riprende Gentile – in alcune zone si abbandonano coltivazioni non più adatte al nuovo clima e ne entrano di nuove. Un esempio sono le mele che per la completa maturazione, il bel colore, il giusto grado zuccherino, hanno bisogno di lunghi periodi freddi. All’opposto la pianta dell’avocado nei primi anni di vita non deve mai stare in luoghi dove il freddo va sotto lo zero. Ed ecco che il Sud Italia è diventato importante area di coltivazione». Esempio emblematico di mondo alla rovescia sono i vini. Un tempo i migliori nascevano intorno al 45° parallelo, adesso non ci meravigliamo di trovare buone bollicine (attenzione, però, a definirle Champagne) in Gran Bretagna (5 paralleli più su), ottimi Riesling nella Mosella tedesca e bianchi e rossi comunque dignitosi in Belgio, Lussemburgo, Danimarca (addirittura lungo il 53° parallelo), Olanda, Irlanda, e Polonia. Mentre in Italia conquistano meritato successo i vini prodotti sulle montagne della Val d’Aosta, a mille metri in Trentino Alto Adige o sulle più alte contrade dell’Etna. Stesse sorprese per l’olio: è della scorsa settimana la prima raccolta di olive in Piemonte da parte di uno storico produttore di Barolo. Mentre sulle montagne della Valtellina – impensabile solo qualche anno fa – sono già 10 mila gli ulivi. Ormai quasi non ci si sorprende più per i circa 1.500 ettari di coltivazioni tropicali nel Centro Sud: mango, avocado, frutto della passione, litchi in Sicilia e Calabria; noce di macadamia, melanzana thay, lime, bacche di goji in Puglia; kiwi nel Lazio (l’Italia è il maggiore produttore mondiale assieme alla Nuova Zelanda). Fisiologico sarà anche lo spostamento verso Nord di alcune colture che attualmente crescono soprattutto nel Sud dell’Europa dove è prevista una diminuzione di cereali del 25% nel 2080.
IL CONTO
A fronte di una popolazione mondiale che cresce, è riduttivo guardare solo al piccolo orto di casa europeo, anche perché – come sempre – il prezzo maggiore lo pagherà il Sud del mondo. Una recente analisi della società inglese Verisk Maplecroft afferma che già nel 2045 quasi tre quarti della produzione agricola mondiale sarà minacciata dal caldo in aumento con conseguenze drammatiche per le principali colture chiave e una riduzione del 71% della produzione alimentare globale (riso, cacao e pomodori i più colpiti). Nove dei dieci Paesi più a rischio sono africani, ma nell’elenco ci sono anche India e Brasile, fonti primarie di alcuni alimenti indispensabili. In Europa il Montenegro registra il rischio più elevato (52esimo posto).
SPECIE ALIENE
Per l’Italia la previsione indica il salto da rischio medio alto ad alto, passando dall’attuale 143esimo posto all’82esimo. «Tra le avversità che compaiono e si diffondono a seguito di cambiamenti delle condizioni climatiche – afferma Enrica Gentile – bisogna aggiungere la presenza di parassiti prima assenti». Il censimento che Areté sta completando per conto dell’Osservatorio Agrofarma, dimostra che alcune specie aliene hanno goduto proprio del nuovo clima: la Xylella fastidiosa, originaria dell’America, che ha massacrato gli ulivi pugliesi è favorita dalle temperature calde. Il fungo della Peronospora (della patata, del pomodoro e della vite) che vive nell’umidità è stato favorito dalle recenti piogge intense. Stessa cosa per le larve della cocciniglia che ha causato la decimazione dei pini e della cocciniglia tartaruga, arrivata più recentemente in Italia. Comparso in Italia già negli anni ’90, solo negli ultimi anni a causa di piogge, vento e clima mite, anche Pseudomonas syringae ha causato ingenti danni sull’actinidia (kiwi). «Le recenti ondate di calore, indebolendo le piante – spiega Gentile – favoriscono un attecchimento aggressivo del batterio». Così anche per la mosca dell’olivo. «Gli inverni miti – è l’analisi dell’ad – hanno permesso la sopravvivenza dell’insetto durante l’inverno, favorendo una proliferazione massiccia difficile da contenere. Come avviene per la cicalina, il principale vettore della flavescenza dorata, una delle malattie più pericolose per la vite». L’insetto, a proprio agio con temperature miti, riesce a sopravvivere anche nei periodi invernali, rendendo molto complessa la difesa della vite.
VALORIZZAZIONI
In ogni caso sarà più difficile produrre e gli agricoltori dovranno affrontare sempre maggiori rischi di vedere distrutto il lavoro nei campi per periodi di prolungata siccità o ripetuti allagamenti. Per questo gli scienziati guardano con attenzione alla tutela della biodiversità e cercano nella stessa natura la chiave di volta per sostituire – almeno in parte – riso, grano e mais che dovrebbero scarseggiare. La Fao tra le coltivazioni da valorizzare indica quelle che necessitano di meno acqua e che hanno dimostrato di saper vivere in condizioni avverse. Come l’amaranto, diffuso nel clima caldo e a lungo siccitoso di ampie aree dell’America del Sud, dell’Africa e dell’Asia, interamente commestibile e ricco di valori nutrizionali. Anche il fonio – un cereale senza glutine – necessita di poca acqua. Fornendo tre raccolti l’anno, è stato utile in Mali, Burkina Faso e Senegal ad affrontare le frequenti carestie di quella zona dell’Africa dell’Ovest. Un’altra pianta che si spera venga sempre più coltivata è il taro, un tubero del sud-est asiatico più facile da coltivare perfino delle patate, ma con valori nutritivi maggiori e foglie commestibili. Frutto della ricerca scientifica e di incroci genetici (comunque naturali) è Kernza, cereale perenne che non necessita di essere ripiantato dopo ogni raccolto (come il grano). È una “invenzione” americana.
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