I dati sono il nuovo petrolio. Da anni queste parole circolano tra esperti e non per definire l’impatto che i Big Data hanno prima sulla nostra economia e, di conseguenza, sulla società. Siamo arrivati al punto in cui, in nome della semplificazione anche la macchina del caffè per espresso che teniamo in cucina, proprio mentre pompa acqua bollente nelle capsule produce informazioni. E lo stesso accade ogni volta che attiviamo lo smartphone, saliamo in auto oppure chiediamo aiuto ad Alexa, a Siri o a Google. Ogni singola informazione, si spera nella maniera più anonima possibile, viene dettagliatamente archiviata per offrire servizi migliori, dicono. E questo sul piano pratico significa che ogni giorno ciascun italiano in media produce circa 10 giga di dati. Ovvero un quinto di quanto prodotto a livello europeo. Numeri peraltro in forte crescita negli ultimi mesi quando, in tutto il globo, il traffico dati nelle reti è letteralmente esploso segnando un aumento del 20% su base annuale.
EFFETTO LOCKDOWN
Obtorto collo, lockdown e pandemia hanno fatto da catalizzatore a tutti quei processi di digitalizzazione sociale che altrimenti avrebbero impiegato anni per prendere davvero piede. Lasciando da parte il digital divide e il triste squilibrio che questo crea, ciò che è indubitabile è proprio questo incremento del traffico dati. Ovvero l’aumento esponenziale delle informazioni su di noi e su ciò che ci circonda, che vengono “lanciate” in rete ogni secondo. I dati hanno dunque un enorme valore perché, se correttamente impilati da un algoritmo, sono in grado di manipolare il nostro giudizio, di indirizzare le nostre scelte o anche “solo” prevedere le decisioni che ancora non siamo consapevoli di aver preso. Un potere evidente capace di condizionare gli aspetti più sensibili della vita di una persona, sul piano sanitario o politico, ad esempio. Tenendo fuori l’etica, su cui ancora la discussione è poco più che abbozzata, l’immediata necessità a cui bisogna far fronte è dunque la sicurezza delle informazioni. Il nostro presente, come il nostro futuro, si gioca su di essa. Servono cioè soluzioni tecnologiche adeguate a far fronte a necessità nuove: dalla “semplice” gestione o archiviazione dei dati (ormai quasi esclusivamente in cloud) alla messa in sicurezza di queste informazioni da intrusioni o attacchi pirata. Un problema attualissimo e un mercato enorme (il cloud dei dati nel 2025 varrà 829 miliardi di euro) a cui in Europa si sta già provando a rispondere con il progetto franco-tedesco – di cui sono già state gettate le basi – Gaia X. Cioè la creazione di un cloud europeo, una “nuvola”, che archivia, rende disponibili e potenzialmente analizza i dati di miliardi di dispositivi in rete, garantendo la sicurezza di queste informazioni.
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L’IMPEGNO
Il progetto è evidentemente fondamentale e, per l’Italia, vede schierate sin dal primo giorno sia l’operatore di servizi web Aruba che Leonardo, colosso dell’aerospazio, della difesa e della sicurezza. Vale a dire due delle principali aziende tecnologiche italiane che la scorsa settimana, non a caso, hanno stretto una partnership orientata anche verso il progetto Gaia X. L’obiettivo? Fornire prestazioni integrate con servizi di cyber security attraverso una filiera interamente italiana, coerentemente con il perimetro di Sicurezza nazionale cibernetica e con le normative europee sulla privacy. «L’intesa – spiega Tommaso Profeta, managing director della Divisione cyber security di Leonardo – è in linea con il piano strategico “Be Tomorrow-Leonardo 2030”, che identifica nelle collaborazioni con altre industrie, così come il settore pubblico, uno strumento primario per offrire le migliori capacità per la sicurezza di persone e comunità in tutto il mondo, contribuendo alla loro crescita sostenibile». Nel dettaglio, Leonardo metterà in campo la propria esperienza nei servizi di Cyber Security, consulenza e supporto specialistico, progettazione e sviluppo di infrastrutture per la protezione delle informazioni e dei sistemi dalle minacce informatiche, mentre Aruba, potendo contare sulla propria esperienza sia in ambito di progettazione e gestione di data center che di infrastrutture cloud enterprise, fornirà soluzioni uniche completamente personalizzate, erogate da una rete di data center italiani di proprietà e ai massimi livelli di resilienza. La partnership (già operativa) risponde quindi alle specifiche esigenze di sovranità nazionale sull’archiviazione dei dati, oltre che a quella di preparare il terreno per lo step immediatamente successivo: l’analisi simultanea di quante più informazioni possibile. Una frontiera su cui proprio Leonardo ha già puntato tanto con il neo ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani (il fisico, fino alla sua nomina, è stato responsabile dell’innovazione tecnologica dell’azienda) ad esempio con l’installazione, a Genova, del super computer “davinci-1”. Ovvero di uno dei primi 100 supercomputer al mondo, capace di sviluppare una potenza di calcolo di 5PFlops, vale a dire 5 milioni di miliardi di operazioni in virgola mobile al secondo. La strada, in pratica, è quella giusta.
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