Barcamenarsi fra sogni e realtà, riuscire a individuare il punto d’equilibrio su quella linea sottile che separa speranze realizzabili da illusioni pericolose.
Scegliere il proprio futuro non è un gioco ma Roberto Costantini, direttore “Summer School & Luiss Hubs” dell’Ateneo Luiss Guido Carli usa la metafora sportiva parlando ai diplomandi.
È una questione di scelta ma come farla, certi poi di non sbagliare?
«Ai giovani dico: immaginate di dover scegliere uno sport da praticare per tutta la vita. Come fare? Soltanto provando, l’esperienza è la chiave di volta».
Ingegner Costantini usa la metafora sportiva, perchè?
«Bisogna dare agli studenti degli strumenti aggiuntivi di orientamento rispetto a quelli che la scuola legittimamente non è in grado di dare perché fa già tanto. Per chiarire sia il modo che l’importanza della scelta del futuro faccio spesso ai ragazzi un esempio che è un po’ paradossale ma chiaro: immaginate di dover scegliere uno sport da fare come hobby ma di farlo poi per tutta la vita. Ebbene, non si può scegliere il tennis o la pallavolo solo guardandoli in tv o sul web o parlandone con amici e parenti. Bisogna provarli, andarli a giocare almeno un paio di volte».
A volte anche i giovani più volenterosi non sanno come impegnare il proprio futuro e, al netto dei consigli dei genitori, non si sa bene come muoversi.
«C’è un insieme di più fattori: una cultura italiana per cui i genitori tendono a voler aiutare i figli a volte invadendo campi non proprio opportuni, come il “cosa” studiare all’università, che è argomento ben diverso dal “dove” su cui l’aiuto dei genitori ha più senso. Poi c’è il modello dell’istruzione secondaria che in Italia è basato su una pluralità di insegnamenti dove fino all’ultimo anno si studiano dieci, undici anche dodici discipline di contro a modelli anglosassoni dove già due o tre anni prima di andare all’università si ha la possibilità di scegliere un certo numero di materie da approfondire, modello che permette poi di arrivare ad un grado di conoscenza del gradimento o del non gradimento molto più forte».
Ma come si applica nella scelta della facoltà giusta?
«All’estero esistono Paesi dove i ragazzi delle scuole superiori vengono portati nelle università durante gli ultimi due anni a vedere, sentire e a partecipare alle lezioni. Questo in Italia non c’è e per questo esistono le “Summer school”, non solo quella della Luiss. È il concetto delle scuole estive dove non si racconta cosa vuol dire studiare Economia o Medicina ma si prova a farlo con lezioni universitarie, che è l’equivalente di giocare a tennis o pallavolo invece che sentirne parlare».
Come sono organizzate le “Summer school”?
«Esistono le “Summer school” verticali e sono le scuole che presuppongono già una scelta del “cosa studiare” e indicano il “dove” poterlo fare e poi ci sono le “Summer school” orizzontali, e questo è il modello Luiss, dove ci sono tante lezioni di tante discipline dove i ragazzi possono fare esperienza, incluse discipline universitarie non offerte poi dalla Luiss. Noi abbiamo iniziato ormai 13 anni fa, ogni anno abbiamo 1.500 studenti del penultimo ed ultimo anno delle superiori che partecipano, offriamo oltre alle Scienze sociali, lezioni di Medicina, Ingegneria, Informatica, parte umanistica. Quello che ci interessa è dare degli strumenti pratici che possano confutare o meno un desiderio, un’inclinazione, in modo che poi arrivi alla Luiss solo chi è certo del “cosa” studiare. I nostri dati interni mostrano come il tasso di cambio del corso di laurea per chi ha frequentato la “Summer school” è pari allo zero, mentre la situazione generale italiana non è certo ideale».
Nel senso che il cambio di corso di laurea è molto frequente?
«La media italiana di abbandono al primo anno è del 27% ed è certo frutto di tanti fattori, di cui il principale è trovarsi a fare una cosa che non piace e che porta solo ad un senso di inadeguatezza. Sbagliare facoltà non comporta effetti negativi solo individuali ma familiari e, a livello aggregato, per il Paese intero perché un tasso di abbandono universitario come il nostro è un danno macro economico enorme per l’Italia che è già indietro sul livello di laureati. Dovremmo capovolgere questa classifica e uno dei modi per farlo è quello di evitare che le persone vadano all’università senza sapere esattamente che cosa stanno andando a fare».
Crede che il sistema scolastico italiano andrebbe modificato?
«La modifica del sistema scolastico è un argomento molto ampio che non può essere affrontato solo per favorire l’orientamento e che sconta rigidità strutturali difficilmente sormontabili nel breve. Quanto meno andrebbe analizzato come il mondo del lavoro sta cambiando e come la scuola può collegarsi ad esso. L’alternanza scuola-lavoro fatta seriamente e un insegnamento più basato sulla ricerca e meno sul trasferimento di conoscenza dal docente al discente darebbe già una risposta. L’ideale, e questo è un auspicio, sarebbe poter offrire l’esperienza delle “Summer school” gratuitamentea tutti gli studenti delle scuole superiori».