C'è chi parla di dematerializzazione, e chi, più o meno impropriamente, di smaterializzazione. Ma l’accezione è grosso modo la stessa: l’attività, sempre più diffusa, di trasformare documenti ma anche beni e opere analogiche, in file digitali e fruibili online. E se la voce sembra rappresentare l’ultima frontiera del fenomeno, prima con l’ascesa costante dei podcast, poi addirittura con l’avvento di un nuovo social network basato esclusivamente sull’interazione vocale, vale a dire Clubhouse, lo spostamento online di beni e attività analogiche in versione immateriale è sempre più frequente e sembra riguardare i campi più svariati. Potremmo fare l’esempio delle cryptovalute, le monete digitali basate sulla crittografia, non soltanto dematerializzate ma anche decentralizzate da qualsiasi tipo di gestione. Ma potremmo – guardando alla strettissima attualità – anche rivolgerci al mondo dell’arte. E del collezionismo. È notizia di giovedì 11 marzo quella che arriva da New York: da Christies è stata battuta alla cifra record di 60 milioni di dollari l’opera di Beeple nella prima asta riservata a un “non fungible token”. E così, dopo le cryptovalute irrompe sulla scena anche la cryptoarte da primato; nello specifico l’opera intitolata “The first 5000 Days”, altro non è che un monumentale collage digitale di Beeple, al secolo Mike Winkelmann, le cui creazioni sono registrate su blockchain con un NFT (Non Fungible Token) criptato e contenente la firma dell’artista. Il token serve a verificare il legittimo proprietario e l’autenticità della creazione. Benvenuti in un racconto di Philip K. Dick. Se non è fantascienza ne è perlomeno la sala d’attesa. E, tanto per restare nel perimetro delle aste da collezione, arriva sempre dagli Stati Uniti la notizia che Jack Dorsey, il fondatore di Twitter, ha messo in vendita il suo primo tweet, ovvero il primo cinguettio al mondo. E il prezzo all’asta ha già toccato i 2,5 milioni di dollari. Anche in questo caso l’escamotage utilizzato per la vendita e la valorizzazione è stato quello del “non-fungible token”, che rende il prodotto un oggetto da collezione digitale. E, come se non bastasse, ora sulla piattaforma digitale Valuablè, è possibile acquistare e vendere tweet autografati dai relativi creatori.
ACCELERAZIONE
La spinta verso il digitale a cui stiamo assistendo da un anno a questa parte sembra vivere un’accelerazione esponenziale, favorita, forse, anche dalla pandemia e da un’assuefazione alla fruizione online di ogni aspetto delle nostre esistenze: dallo smartworking alle call con gli amici. Al punto che, da un po’ di tempo a questa parte, ci sono persino delle cantine che stanno dando vita a degustazioni digitali, un digital tasting che contempla l’invio della bottiglia a una serie di personaggi che vengono poi coinvolti nei loro canali social in un assaggio da remoto. Lo schermo sta diventando la nostra nuova dimensione e il virtuale è più reale che mai. Non è un caso che esista da sempre una schermaglia dialettica sull’uso improprio di “virtuale” come termine associato alla realtà online. Virtuale da questo punto di vista sembra essere una parola poco corretta che non rende giustizia al fatto che ormai ci sia una connessione sempre più profonda fra quello che viviamo online e quello che viviamo offline, per cui la sola linea di demarcazione che può definire e descrivere la nostra realtà anfibia è quella fra materiale e immateriale. In quest’ultima categoria entra di diritto il nuovo uso che si sta facendo della voce online. Uno strumento di comunicazione caldo, più coinvolgente della parola scritta, che sembra essere una chiave di sintesi perfetta fra le possibilità offerte dal mondo digitale, le limitazioni imposte dalla pandemia e la voglia di umanità che comunque non tramonta e, anzi, in queste condizioni si rafforza. Sembrerebbe l’ennesimo passo nel futuro se non fosse che questa fruizione della voce ricorda molto da vicino il più analogico dei mezzi di comunicazione: la radio. Ma in fondo in molte storie c’è una circolarità che mette in contatto il principio e la fine.
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