Tra sopravvivenza e business è una questione non più rinviabile, anzi è già molto tardi per cominciare a fare spazio nello Spazio che è tutto meno che infinito se ci riferiamo a quello angusto attorno alla Terra, quello vitale per le nostre attività ma ridotto in pochi anni a una discarica di rottami anche potenzialmente pericolosi. Pulizia, bisogna fare pulizia in orbita. E bisogna anche imparare a non “sporcare” oltre il necessario questa parte del cielo da quota 200 a quota 36mila chilometri esattamente come stiamo imparando – con fatica – ad avere rispetto del suolo e dei mari terrestri.
LE CIFRE
Sopra la nostra testa vorticano almeno 130 milioni di oggetti, da quelli impercettibili (una capocchia di spillo) a quelli pesanti fino a 20 tonnellate: rottami di razzi e di stazioni spaziali e soprattutto detriti di vecchi satelliti. Dal 1957 (il pioniere Sputnik) ne sono stati lanciati 7mila e ne sono ancora in funzione 4mila. Tanti? Una bagattella se pensiamo che entro il 2025 ne saranno issati in orbita tanti quanti ne hanno registrato questi primi 64 anni di epopea spaziale. Solo la costellazione Starlink di SpaceX di Elon Mask ne conterà – alla fine – 12mila per garantire a tutto il mondo una fulminea navigazione sul Web: i primi abbonamenti sono già in vendita a 150 dollari al mese. Senza satelliti, del resto, saremmo ridotti a talpe smarrite e questo spiega anche perché il business legato ad essi vale il 74% della space economy che oggi muove globalmente 366 miliardi di dollari destinati a diventare 4mila al termine di questo decennio. Così diventa non solo obbligata ma anche redditizia la nuova branca delle operazioni spaziali: la rimozione o la messa in sicurezza dei rottami spaziali. Un settore i cui operano le grandi agenzie quali l’Agenzia spaziale italiana e l’Esa, le compagnie assicurative (un business nel business), gli enti pubblici di ricerca e società private come la comasca D-Orbit in grado di spingere i satelliti pensionati verso orbite “cimiteriali” (nessuna lacrima, la vista resta stupefacente) oppure di guidarli verso fondali oceanici ancora non saturi. L’Agenzia spaziale europea ha poi firmato un contratto da 86 milioni di euro con un gruppo guidato dalla start-up svizzera ClearSpace per la prima rimozione di un detrito dall’orbita. Nel 2025 il lancio della missione ClearSpace-1 che raccoglierà e riporterà verso la Terra un rottame. L’obbiettivo è sia ridurre la quantità di spazzatura in orbita sia diminuire i rientri incontrollati come quello recentissimo del Lunga Marcia. Holger Krag, del Programma di sicurezza spaziale dell’Esa, ha ricordato che un centinaio di tonnellate di detriti spaziali produce ogni anno 50-60 eventi di questo tipo.
TELESCOPIO
Sempre l’Esa sta programmando per il 2025 il lancio in orbita di un telescopio spaziale in grado di rilevare anche i più piccoli detriti. Secondo Tim Flohrer, direttore dello Space Debris Office dell’Esa, questo telescopio sarà in grado di rilevare la luce solare riflessa dai detriti. Si stimano circa 900 mila rottami dalle dimensioni comprese tra uno e 10 centimetri, e circa 34 mila aventi dimensioni maggiori di 10 centimetri. A questi si sommano i 128 milioni di oggetti tra un millimetro e un centimetro. Anche se minuscoli, i detriti spaziali possono essere catastrofici per l’impressionante velocità che può toccare i 56 mila km/h. Nel 2016 un detrito di un millimetro ha centrato il satellite Copernicus Sentinel-1A, costruito con la forte partecipazione dell’italiana Thales Alenia Space (67% Thales e 33% Leonardo) e il coordinamento dell’Agenzia spaziale italiana, alla velocità di 28 mila km/h. Il bilancio? Un pannello solare perforato con un improvviso calo della produzione di energia. Danni che bisogna imparare a non causare più, anche perché è in arrivo la nuova generazione di satelliti per telecomunicazioni riservata al “satellite” per eccellenza, la Luna, presto colonizzata dall’uomo che pure lassù avrà bisogno ad esempio del gps: proprio oggi l’Esa presenta il progetto Moonlinght che a cui partecipa un consorzio guidato da Telespazio (67% Leonardo e 33% Thales), in collaborazione con Thales Alenia Space, Altec, Argotec, Nanoracks Europe, Politecnico di Milano e Università commerciale Luigi Bocconi.
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