Nel 1954 il matematico e padre della cibernetica, Norbert Wiener, aveva avvertito l’umanità dei rischi della tecnologia nel saggio The Human Use of Human Beings – Per un uso umano degli esseri umani – in cui spiega come il computer sarebbe diventato così piccolo e poco costoso che chiunque avrebbe potuto usarlo per creare una società malata e infelice in modo molto semplice.
Sono passati più di cinquant’anni e dopo aver vissuto la rivoluzione dei personal computer, di internet, dei social media e degli smartphone ci prepariamo a entrare in una nuova fase, in cui, grazie all’intelligenza artificiale, dispositivi sempre più potenti si fonderanno con il nostro corpo. In questi ultimi cinquant’anni abbiamo sognato un mondo più aperto e connesso, senza frontiere, ma in realtà più andiamo avanti in questa trasformazione e più l’uso che facciamo di internet si trasforma in una involuzione, ci rende meno aperti, ci allontana dalle comunità per creare bolle di solitudine.
La prova
Proprio sulla solitudine ci sono decine di studi, soprattutto sui bambini e gli adolescenti che mostrano come con l’aumento del consumo di social media, diminuisca l’interazione sociale e aumenti l’isolamento. Una delle tante analisi svolta sulla Gen Z – i giovani nati tra il 1997 e il 2012 – mostra come il 73% delle persone appartenente a questa generazione si sente solo alcune volte o mai. E così, per ricercare le radici di questo viaggio all’indietro, diventa emblematico un esempio recente applicato a quella che sarebbe dovuta essere una rivoluzione per portare l’accesso a internet nei luoghi più remoti del mondo. I Marubo sono una tribù che vive in una delle aree più remote dell’Amazzonia brasiliana: sono soprattutto cacciatori e agricoltori e spesso – muovendosi a piedi o con piccole imbarcazioni per oltre 100 chilometri – vanno nelle città più vicine per vendere i loro prodotti o per fare lavori saltuari.
Sei mesi fa hanno conosciuto internet grazie alle antenne di Starlink, la startup di Elon Musk che si occupa di connettere alla rete i luoghi senza segnale. Tutto questo ha cambiato per sempre la vita della tribù, facendole fare in una notte il salto nel futuro che in occidente è durato più di 50 anni. I giovani sono diventati più pigri e non vogliono più svolgere passatempi tradizionali come la pittura del corpo o la creazione di gioielli con le conchiglie, gli adulti passano ore sulle chat parlando di gossip, sono molto più esposti alla violenza e alla disinformazione.
E molti membri della tribù preferiscono passare il loro tempo su internet invece che cacciare, coltivare e svolgere le attività per portare avanti la vita del villaggio. La soluzione? Fissare un limite: due ore di internet alla mattina, cinque ore alla sera alla fine della giornata di lavoro e infine connessione aperta per tutta la domenica. Diversi teorici dei media, psicologi e antropologi digitali sostengono un approccio simile, in alcuni casi in modo ancora più estremo.
Le conseguenze
Pochi anni fa, prima dell’arrivo dell’IA generale, il teorico dei media Jaron Lanier aveva scritto un brevissimo saggio – Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social – nel quale spiegava che nonostante siamo sempre più connessi i social media ci “disconnettono” dalle altre persone e sono controllati dalle aziende private più potenti della storia dell’umanità con un solo obiettivo: raccogliere i nostri dati, aumentare i profitti e controllare i nostri comportamenti. In questa analisi Lanier ricorda anche che il principale problema non è la tecnologia ma lo sfruttamento delle sue potenzialità fatto da un piccolo gruppo di miliardari della Silicon Valley. Questa idea è spiegata da un altro punto di vista dallo psicologo Jonathan Haidt che ha da poco pubblicato The Anxious Generation affermando che a partire dal 2010 qualcosa è cambiato e i social media hanno creato un «aumento della sofferenza» che coinvolge gli adolescenti in occidente. Sono gli anni dell’arrivo delle app, dalla diffusione di iPhone, dei primi social media e in particolare di Instagram, il primo social pensato solo per gli smartphone.
E i dati, dal 2010 in poi, ci dicono chiaramente che il livello di stress e di problemi mentali nei giovani sono aumentati. La tesi di Haidt è molto semplice: invece di stare all’aperto, parlare o giocare con altri bambini o giovani, gli adolescenti sono intrappolati nel mondo digitale che diminuisce la loro autostima, li fa vivere in una costante sfida, risucchia la loro attenzione. «La connessione al Web è ormai pervasiva, e profondamente radicata nella nostra quotidianità: quasi tutti gli adolescenti e gli adulti sotto i 65 anni (96-99%) e il 75% degli adulti di età pari o superiore ai 65 anni utilizzano Internet, e il 50% dei giovanissimi, secondo una recentissima survey del 2023 condotta tra 1.453 individui, si descrive come “sempre online”», dice a MoltoFuturo la psichiatra Paola Calò, direttrice di unità operativa di Salute mentale ASL Lecce. «Oggi, adolescenti e giovani in particolare sperimentano un crescente isolamento e solitudine, che si riflette sugli indicatori della salute mentale e fisica, ormai in caduta libera da oltre 15 anni. Per i giovani di età tra i 15 e i 24 anni, il tempo trascorso nelle relazioni è diminuito di oltre la metà negli ultimi due decenni: da più di 150 minuti al giorno nel 2003 a meno di 70 minuti al giorno nel 2019», continua Calò che ricorda le conclusioni di uno studio condotto negli Stati Uniti: «Coloro che usano i social media per più di due ore al giorno hanno circa il doppio delle probabilità di segnalare una maggiore percezione di isolamento sociale rispetto a coloro che usano i social media per meno di 30 minuti al giorno».
Ci sono vie d’uscita per questa involuzione? Secondo Keramet Reiter, una criminologa della University of California, per diminuire al minimo gli effetti negativi e aumentare il valore della nostra vita online sia fondamentale discutere in gruppo ciò che vediamo, visto che «il senso di comunità che le discussioni possono generare può anche essere una forma di protezione».