«E' una storia ancora tutta da scrivere». Per Assunta Di Vaio, docente di Business Administration e Corporate Governance delle Aziende Marittime all’Università Parthenope di Napoli, il “passaggio a nord-est” inaugura una partita economica, commerciale e geopolitica su cui è azzardato fare pronostici. «Non escludo affatto che l’Europa potrà dire la sua e recuperare parte di quel che negli ultimi anni ha perso nel Mediterraneo».
In che senso?
«Bisogna essere chiari e quindi ammettere che l’Oriente riesce a dominare sempre di più il processo decisionale anche delle rotte del Mediterraneo. Il posizionamento strategico è importante, ma è altrettanto importante saperlo gestire».
In effetti, prima della pandemia, il fulcro di ogni discussione sul futuro dei nuovi traffici internazionali era la Nuova Via della Seta. Oggi se ne parla meno.
«Sì, se ne parla meno, formalmente le cose sembrano essersi rallentate ma nella sostanza non è così. Da una serie di testimonianze di operatori di settore ho potuto capire che la pandemia ha creato delle condizioni di ripensamento per cui, se fino a qualche tempo fa i player orientali dipendevano comunque dai nostri in termini di gestione dei traffici, ora non è più così. La digitalizzazione dei flussi di informazione accelerata dalla pandemia ha per esempio permesso di bypassare intermediari della filiera logistico portuale. I player cinesi sembrerebbero ora godere di maggiore autonomia».
In questo quadro come valuta la Northen Sea Route? Un nuovo varco di “pressione” dell’Asia sull’Europa?
«Su questo punto sarei cauta. Mentre le altre rotte sono note, le prospettive aperte dalla via artica sono ancora per molti versi sconosciute. Ci sono aspetti di incertezza, ma anche variabili di rischio non facilmente quantificabili. Si tratta di una scommessa per tutti, per gli operatori asiatici e per quelli europei. E in questo senso si aprono grandi opportunità. È lecito aspettarsi che l’Europa giochi bene questa partita e la giochi come sistema, come Porto Europa. Non è un obiettivo facile da raggiungere ma nemmeno impossibile. Dipende».
Da cosa?
«Da come i porti vengono gestiti. A parte le ovvie e necessarie capacità di carattere infrastrutturale, qui il discorso cade anche e soprattutto su aspetti relativi alla regolamentazione. Pensiamo all’Italia. Con la riforma del 2016, il nostro Paese si è dato un nuovo assetto organizzativo passando da 24 Autorità Portuali a 15 Autorità di Sistema Portuale allo scopo di favorire un processo di aggregazione e di potenziamento generale dell’offerta nazionale. Ora di fronte a una nuova rotta entrano in gioco nuovi interessi. Chi ha la forza di negoziare con le compagnie di navigazione marittima?»
Chi?
«Guardi, mentre noi stiamo parlando i grandi player mondiali stanno già tracciando le nuove rotte. Chi si siede al tavolo? Il singolo porto ha tutto l’interesse a stringere partnership con le compagnie ma si trova spesso ingabbiato in una macchina amministrativa che invece di semplificarne lo slancio ne rallenta l’azione. La creazione di un sistema più ampio comporta considerevoli vantaggi, ma si può e si deve fare ancora molto in termini di sburocratizzazione. Per rendere credibile la prospettiva di un “porto Italia” che possa dire la sua nella cornice di un “porto Europa” è fondamentale consentire ai singoli player logistici di anticipare le mosse dei concorrenti e definire insieme alle compagnie le rotte del futuro».
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