Il carburante degli astri, il propellente che “illumina” il sole e le altre stelle, accompagnerà l’Italia in sicurezza verso la piena transizione green. O almeno è questa l’ambizione di medio e lungo termine.
L’idrogeno verde può essere la strategia chiave per il futuro prossimo: zero emissioni e alta densità energetica, superando contraddizioni e limiti dell’elettrificazione tout court, soprattutto nei settori produttivi ad alta intensità energetica. E cioè acciaio, cemento, fertilizzanti, carta, la mobilità su lunga percorrenza: sono i comparti definiti “hard to abate”, nei quali la decarbonizzazione con elettrificazione diretta incontra troppi ostacoli e l’idrogeno può viceversa penetrare per “pulire” i cicli senza contraccolpi su volumi produttivi e tempistiche della transizione.
LA MISURA
Il Pnrr dedica una misura all’idrogeno da rinnovabili e l’investimento del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica sulle Hydrogen Valley è il primo, tangibile assaggio di svolta: un bando da 500 milioni per realizzare dei distretti dell’idrogeno, nei quali l’oro verde viene prodotto a partire da fonti rinnovabili e utilizzato localmente. Cinquanta milioni sono destinati a specifici progetti bandiera, 450 invece – col recente e definitivo placet della Ue nel quadro temporaneo sugli aiuti di Stato – per le valley in aree industriali dismesse, già connesse alla rete e munite di adeguate risorse d’acqua per la produzione d’idrogeno. Le proposte sono state selezionate da Regioni e Province autonome con bandi competitivi: gli investimenti individuati nelle scorse settimane sono in tutto 50, all’appello mancano solo le istanze presentate in Sicilia. Per cogliere la portata dell’interesse risvegliato dall’idrogeno, vengono in soccorso i numeri: a fronte di un finanziamento da 450 milioni per le valley, sono arrivate proposte da circa 1,2 miliardi. I progetti idonei e rimasti tuttavia in panchina potrebbero essere ripescati grazie ai fondi del Repower Eu. Di sicuro le Hydrogen Valley, che puntano a saldare senza intermediazioni produzione e utilizzo del gas da rinnovabili, spezzano il paradosso che fin qui ha inceppato lo sviluppo dell’idrogeno: non veniva prodotto perché non c’era sufficiente richiesta, e non era utilizzato perché il mercato non ne offriva. Ma dove saranno le Hydrogen Valley? E come funzioneranno? I distretti dovranno abbracciare l’intera filiera: produzione, trattamento, stoccaggio e distribuzione agli utilizzatori finali. Riabilitando aree industriali ormai dismesse. L’idrogeno verde viene ottenuto separandolo dall’acqua con un processo di elettrolisi alimentato da energia rinnovabile. Non a caso, oltre che sulla produzione di energia da idrogeno, i target europei e italiani della transizione si focalizzano pure sull’impennata di fotovoltaico ed eolico e sull’installazione di elettrolizzatori: almeno 10-15 Gw entro il 2030 per l’Italia, ancora in evidente ritardo.
LA MAPPA
Sfogliando i progetti delle valley, si spazia da poli dalla marcata storia industriale e dal presente incerto (Sulcis, Taranto, Brindisi) a distretti per laterizi, leghe metalliche, chimica, cartiere, fino all’idrogeno al servizio dei porti e della mobilità green. È il caso per esempio del progetto presentato in Emilia Romagna dalla multiutility Hera: 19,5 milioni, idrogeno per il trasporto pubblico locale e per imprese energivore. Tra i contributi più cospicui da segnalare quelli per Sapio Produzione Idrogeno Ossigeno: 20 milioni nel Mantovano per navi e tir, 17,35 nel polo di Porto Marghera. Sapio è anche nella joint venture con Solvay, 16 milioni per lo stabilimento chimico di Rosignano (in Toscana). Ben presente anche Enel: 13,7 milioni in Liguria nell’area della centrale di La Spezia per produrre 134 tonnellate annue di idrogeno verde; e poi 9,8 milioni a Brindisi e 14,76 a Rossano (in Calabria). Dalla società spiegano che «i progetti permetteranno di valorizzare aree in cui sorgono centrali termoelettriche in dismissione». In Puglia altri due investimenti gravitano nell’area circostante l’ex Ilva, ma non contribuiranno direttamente all’impianto di preridotto di ferro che la società pubblica Dri d’Italia costruirà a Taranto per alimentare i forni elettrici di Acciaierie d’Italia. Nel Lazio fari su Civitavecchia Fruit&Forest terminal (7,4 milioni) e sul progetto Helios di Engie servizi, Società gasdotti Italia e Consorzio industriale del Lazio (9,5 milioni). In tutti i casi si tratta di siti contigui o prossimi, dunque non oltre i 50 chilometri, a un’area caratterizzata dalla presenza di industrie o di altre utenze che possano esprimere una domanda potenziale d’idrogeno.
IL PERCORSO
Spiega Arturo De Risi, presidente del Distretto tecnologico nazionale sull’energia (Ditne): «Questi progetti sono un primo e importante avvio, che peraltro permette di recuperare aree industriali dismesse con impatto zero. Ora sarà necessario chiudere nei tempi adeguati, il limite rischiano d’essere gli iter autorizzativi, soprattutto lì dove le rinnovabili per la produzione dell’idrogeno non ricadono per intero nella zona industriale: a quel punto si rischia di dover passare dalla Valutazione d’impatto ambientale. Si deve semplificare. L’altro nodo riguarda lo stoccaggio, le batterie e gli stessi elettrolizzatori: il mercato non è pronto ancora a dare risposte. Terzo elemento, deve essere fatta chiarezza sugli incentivi, sulla loro quantità e sulla durata: mi auguro che non verranno disposti su base annuale, altrimenti i costi dell’idrogeno saliranno alle stelle». Intanto, le valley finanziate con i 450 milioni potrebbero presto incontrarsi a Brindisi: il Ditne, conferma De Risi, sta organizzando per settembre-ottobre un evento «con tutte le Hydrogen Valley, le aziende, le associazioni, la filiera per un momento di confronto e per capire in quale direzione muoversi». Prospettive e numeri dell’idrogeno restano, almeno in linea teorica, stimolanti e accattivanti: la densità energetica è elevata, 1 chilogrammo contiene la stessa energia di 2,4 chili di metano e di 2,8 di benzina. È un vettore efficiente per facilità di stoccaggio. E ha un’alta capacità di conversione: in un’auto a idrogeno fino al 60% dell’energia chimica prodotta viene convertita in forza motrice. Riaffiorano così alla mente le parole di Sergio Marchionne, che espresse scetticismo sull’auto elettrica, ma aprì spiragli per l’idrogeno. Di certo il Pnrr punta con decisione sull’idrogeno: per i segmenti hard to abate, per il trasporto pesante (lo scenario: il 5-7% del mercato nel 2030), per il settore ferroviario, per ricerca e sviluppo. Non solo, il Piano fissa pure il traguardo della semplificazione normativa e fiscale. D’altro canto, i timori non mancano: l’Ue ritiene l’idrogeno fondamentale per centrare gli obiettivi intermedi del 2030 e quelli di ampio respiro del 2050, ma al recente World Hydrogen Summit di Rotterdam è stato posto l’accento sulle incertezze proprio circa norme e domanda. Le 50 valley italiane sono un’incoraggiante scintilla, però la strada è ancora tanta.