Mettete da parte panda, oranghi e rinoceronti. Stavolta non parliamo di animali in via di estinzione, ma di esemplari pronti a riemergere dalle tenebre, complice l’aiuto delle più innovative biotecnologie. Diecimila anni dopo la loro scomparsa dalla Terra – ma un ultimo gruppo sopravvisse fino a quattromila anni fa – i mammut potrebbero infatti tornare a fare capolino nella tundra artica, dando il loro piccolo grande contributo al ripristino della biodiversità e alla lotta contro i cambiamenti climatici. È l’obiettivo di un progetto pionieristico finanziato con 15 milioni di dollari a cui sta lavorando la start-up biotech Colossal, che vuole risuscitare – o meglio, “ricreare” in laboratorio – il mammut, a partire dal codice genetico dei suoi antenati, così da reinserirlo nella regione dei grandi freddi. Secondo la World Animal Foundation, una specie animale su due potrebbe scomparire entro il 2050: la causa principale è individuata nelle minacce all’habitat naturale. Quello stesso ecosistema che, secondo i piani della Colossal, adesso potrebbe essere invece salvato proprio grazie all’aiuto di un animale già estinto. Nasce da questa intuizione l’impegno della neonata azienda biotech americana fondata dal pioniere Ben Lamm, un imprenditore che finora s’era occupato di vari progetti innovativi, dai videogiochi all’intelligenza artificiale fino alle tecnologie per lo spazio. Lamm fa squadra con un team di scienziati coordinato da un genetista di fama mondiale, esperto di “de-extinction”, quale il professor George Church di Harvard, che aveva finora concentrato la propria ricerca sull’innesto del bisonte americano in Siberia per fermare l’erosione della biosfera artica. Oggi, la prospettiva dei loro studi è un tuffo in un passato millenario, ma riguarda soprattutto ciò che accadrà in futuro. Lamm ne è convinto: «Molto spesso penso di venire dal futuro. Sento sempre questo bisogno di fare tutto ciò che è in mio potere per far progredire le idee che mi vengono in mente».
L’OPERAZIONE
Quella su cui sta lavorando la Colossal è, con maggiore precisione, un’operazione di riprogrammazione delle cellule degli elefanti asiatici, il mammifero più simile al mammut, esso stesso oggi minacciato dall’estinzione. Verranno riconvertite in cellule staminali più versatili che portano il Dna del mammut, che in tutte queste migliaia di anni si è perfettamente conservato come in una cella frigorifera sotto il permafrost siberiano. Grazie alla tecnica Crispr, si tratta di inserire un corredo genetico che porterebbe in dote ai pachidermi del futuro la possibilità di adattarsi a temperature più rigide, fino a 40 gradi sotto zero, grazie ai vari strati di grasso e a un manto peloso parecchio più spesso. Tra quattro e sei anni, stimano dalla squadra di genetisti, dovrebbero arrivare i primi cuccioli in vitro, che si svilupperanno in un utero artificiale o in quello di elefanti africani o asiatici. Il team di ricerca non fa mistero delle mire della sperimentazione e spera di estendere presto la pratica anche ad altri esemplari del regno animale e vegetale. L’impresa di creare un ibrido elefante-mammut, o mammofante, vuole in questo modo anche dimostrare il solido legame tra ingegneria genetica e contrasto ai cambiamenti climatici: il ritorno dei giganti della tundra, spiegano gli scienziati, consentirebbe di ripristinare lo storico ambiente d’elezione dei mammut, incentivando la crescita della vegetazione e, soprattutto, stoppando lo scioglimento del permafrost artico.
GLI EFFETTI
Un particolare di tutto rilievo, quest’ultimo, che eviterebbe il rilascio dei gas serra che sono imprigionati sotto i ghiacci perenni a un ritmo che, se non si agirà prontamente, si stima potrebbe arrivare a 600 milioni di tonnellate l’anno. «C’è più metano nel sottosuolo artico che altrove sulla Terra», spiega Lamm. Insomma, il mammut del terzo millennio tornerebbe a ripercorrere le orme di una tradizione millenaria dei giganteschi erbivori del passato, compreso l’abbattimento degli alberi che troverà sul suo tragitto. Il che garantirebbe una sorta di copertura ai grandi ghiacci a rischio e, così facendo, diventerebbe un alleato chiave per il recupero dell’ecosistema artico e per frenare, alle latitudini più proibitive, gli effetti dirompenti del riscaldamento globale. Non solo, il ritorno all’antico vigore della tundra contribuirà – assicurano – pure ad assorbire l’anidride carbonica presente nell’atmosfera. Non tutti i colleghi di Church sono convinti della fattibilità del progetto: secondo alcuni critici la gestazione dell’ibrido elefante-mammut sarebbe troppo complessa, richiedendo 22 mesi, mentre un reinserimento nella tundra degli esemplari adulti significherebbe aspettare una trentina d’anni.
I PARTNER IN CAMPO
Lamm però guarda già oltre, non si lascia scoraggiare e spiega la sua visione: «Mai prima d’ora l’umanità ha avuto le capacità tecnologiche per ricostruire gli ecosistemi, guarire la Terra e preservare il futuro del genere umano attraverso il ripopolamento degli animali estinti», è il mantra del fondatore della start-up. Tra i principali investitori che hanno deciso di scommettere sull’impresa avveniristica della Colossal e del team capitanato da Church ci sono anche Cameron e Tyler Winklevoss, i due gemelli che erano stati all’origine della fondazione di Facebook – da cui uscirono portando Mark Zuckerberg davanti alla giustizia civile e ottenendo un risarcimento milionario – e che oggi hanno fatto la loro fortuna con i Bitcoin.
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