Il lockdown e l’emergenza sanitaria ci hanno privato di tante cose ma, allo stesso tempo, ci hanno anche permesso di sperimentare nuove esperienze digitali. Tra queste anche la fruizione di innovative forme di intrattenimento che sostituiscono e “aumentano” i concerti dal vivo, rendendoli partecipativi e creativi. Tra i vari produttori che stanno lavorando in questo settore c’è A-Live, la nuova piattaforma di streaming interattivo made in Italy pensata per la musica live, che permette l’interazione tra artisti e pubblico in tempo reale: hanno già lavorato con vari artisti tra cui Negramaro, Alessandra Amoroso, Lacuna Coil e l’evento collettivo “Heroes” della scorsa estate all’Arena di Verona. Alex Braga, insieme all’imprenditore seriale della Silicon Valley Fabrizio Capobianco, ha costruito questa start-up.
Lei nasce come conduttore e autore radiofonico e televisivo, poi musicista di musica elettronica, come è arrivato a A-Live?
«In realtà io nasco come musicista, ma avendo cominciato molto giovane e suonando musica psichedelica elettronica non potevo vivere solo di questo e quindi mi sono spostato su radio e tv. Però non ho mai abbandonato la musica legata alla tecnologia e all’interazione. Quando è arrivato il Covid ho capito che era il momento giusto per creare una piattaforma che potesse mettere a sistema tutta questa nuova visione del futuro della performance».
In questi mesi di lockdown c’è molta concorrenza nel comparto dello streaming live: in cosa differiscono le vostre produzioni?
«La verità è che noi siamo totalmente diversi dai nostri colleghi che producono concerti in streaming: noi inventiamo mondi immersivi per creare emozioni digitali e quindi andiamo alla ricerca di ciò che le persone non possono provare nella vita reale. E credo che sia l’unica maniera in cui ha senso fare intrattenimento digitale: quelli che fanno concerti in streaming somigliano a quelli che faceva la Rai trent’anni fa, con la differenza che li vedi peggio perché sono sullo smartphone».
Ci può raccontare un esempio pratico di quello che fate?
«Ad esempio l’evento del lancio del disco dei Negramaro “Contatto”. La band è stata trasportata dentro ad un enorme cubo di led pieno di fans – più di 800 – che in tempo reale inviavano al gruppo il loro flusso video in cui ballavano e battevano le mani. Questo cubo si trasformava attraverso la realtà aumentata in mondi immersivi, dalla luna o illusioni ottiche in 3d, quindi il concerto è diventato una sorta di viaggio con la possibilità per tutti di vedere il concerto e anche di farsi vedere dagli altri. Questo è il paradigma che andiamo a ricercare e dove cerchiamo di portare gli artisti che non sempre sono pronti a dare questo tipo di esperimento».
Trovate molte resistenze tra gli artisti?
«Sì, soprattutto da promoter e manager perché legati ancora naturalmente a un mondo che ci siamo lasciati alle spalle».
E dal punto di vista della domanda da parte del pubblico? Parlo anche di propensione alla spesa dei fans.
«Questa è la parte più interessante, perché il pubblico è molto pronto a comprare e vivere dei momenti digitali unici, se glieli sai offrire. E il fatto che la domanda sia più avanti e con voglia di innovazione dell’offerta genera un paradosso di marketing».
Voi evidenziate come A-Live sia una realtà totalmente made in Italy, ma è un progetto sostenibile entro i confini italiani?
«Noi siamo una tech company e quindi abbiamo un Dna naturalmente internazionale. Ci mettiamo al servizio di artisti e creativi svolgendo anche un ruolo cruciale di consulenza in questo periodo di forte transizione. Poi ovviamente sta a loro fornire un contenuto musicale per un mercato che è sempre più globale».
Ma la musica italiana non è così globale.
«Il fatto che la musica italiana emerga poco all’estero è un problema reale: la discografia è sempre molto legata al sistema italiano sia come suono, immagini e concetti che sono spesso alla rincorsa e poco all’avanguardia».
Siete riusciti a farvi un’idea attraverso quali mezzi tecnologici vengono fruite le vostre produzioni digitali?
«Sicuramente più pc o smart tv perché, evidentemente, le performance si vedono e si sentono meglio. Però la cosa interessante è l’uso combinato di questi mezzi con lo smartphone con cui si possono utilizzare una serie di feature interattive e quindi si utilizza il mobile come telecomando per le interazioni. La cosa interessante sopratutto è la voglia di partecipazione e quindi non solo la ricezione passiva del contenuto, ma l’invio di contenuti, anche video, in tempo reale da parte del pubblico. E ci piace che questa produzione emotiva dei fan diventi parte della performance collettiva».
Cosa succederà quando la gente tornerà a vedere i concerti veramente dal vivo?
«Noi saremo felicissimi. Primo perché A-Live è formata da musicisti e quindi viviamo per tornare sul palco di fronte alla gente, e secondo perché con questa esperienza abbiamo aperto una sterminata frontiera legata alla digitalizzazione e all’aumento delle emozioni e quindi lavoreremo sui concerti ibridi».
Ci spieghi meglio.
«Andiamo verso un futuro che non sarà più quello che noi chiamiamo normale, ma sarà phygital (crasi tra physical e digital, ndr) e quindi bisogna andare alla ricerca dell’ibridazione. Quelli che oggi cercano la sostituzione del reale con lo schermo digitale, rischiano di morire quando finirà l’emergenza sanitaria».
C’è qualche progetto su cui state lavorando?
«Stiamo preparando per la fine della primavera un maxi-evento con un’importante band italiana in una location particolare che rappresenta la cultura italiana e un’altra serie di appuntamenti con giovani artisti. E poi una manifestazione imponente come è stata “Heroes” che ha messo insieme oltre 40 artisti live dall’Arena di Verona a sostegno dei lavoratori della musica, non può rimanere un’occasione unica».
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