Sembra un enorme impianto di climatizzazione, con tanto di motori a ventola e alette per direzionare il flusso dell’aria. Invece Orca, così si chiama il neonato complesso islandese realizzato dalla startup Climeworks, è tutt’altro. È il più grande esempio fin’ora mai creato di un impianto di assorbimento e stoccaggio dell’anidride carbonica. Il suo nome significa “energia” e la tecnologia su cui si basa è quella che in gergo tecnico viene definita Dac, Direct air capture, ovvero la possibilità – grazie a invenzioni piuttosto recenti – di separare dall’aria le molecole di CO2 e poi, con una serie di procedimenti chimico-fisici, catturarle e pietrificarle sottoterra.
IMPORTANZA STRATEGICA
Alla prima sensazione, l’argomento non scatena grande appeal. Eppure proprio questi impianti sono degli strumenti fondamentali per la lotta al climate change causato dall’uomo e dalle emissioni di gas serra delle nostre attività. Impianti come Orca contribuiscono concretamente alla carbon negativity, una parola che sentiremo sempre più spesso nelle discussioni legate all’emergenza climatica. Per carbon negativity – traducibile con negatività carbonica – si intende la capacità di uno strumento o di una tecnologia di raggiungere emissioni negative, ovvero assorbire CO2 in quantità maggiore di quella prodotta. Un esempio pratico: un’auto emette gas serra, e quindi aggiunge nuove emissioni al bilancio globale. Per contro, un albero – classico e naturale esempio – grazie alla sua capacità di “respirare” CO2, assorbe questo gas serra, e il suo saldo diventa negativo. Ecco spiegato perché questa nuova tecnologia assume un ruolo fondamentale, in un mondo sempre più denso di emissioni antropiche ma con capacità inadeguate di assorbimento.
IL PROBLEMA DA RISOLVERE
Attualmente l’umanità produce circa 51 miliardi di tonnellate di CO2 che vanno oltre la capacità naturale del Pianeta di assorbirle: una quantità esorbitante – proveniente principalmente dalla combustione delle fonti fossili come petrolio, gas e carbone – che sta rapidamente cambiando gli equilibri climatici. La temperatura media globale è già cresciuta di 1,1°C rispetto a un secolo e mezzo fa, e la concentrazione dell’anidride carbonica nell’aria ha toccato a maggio quota 420 parti per milione, un dato mai raggiunto in tutta la storia dell’homo sapiens: per ritrovare così tanta CO2 nell’aria dobbiamo tornare indietro di 60 milioni di anni, quando c’erano le foreste subtropicali vicino ai Poli. L’obiettivo globale, già deciso dagli Accordi di Parigi del 2015 e più volte ribadito, è raggiungere emissioni nette zero nel 2050, così da limitare il più possibile il nostro impatto negativo sul clima, sugli habitat e sulla biodiversità del Pianeta. Ma come suggeriscono sia l’Agenzia internazionale dell’energia sia il gruppo intergovernativo delle Nazioni unite sul cambiamento climatico (il famoso Ipcc), non basta eseguire una rapida transizione ecologica, ma è necessario anche dotarsi di sempre maggiori strumenti di assorbimento della CO2. Anzi, spiega l’Agenzia dell’energia internazionale: «Più si tarderà con la decarbonizzazione delle nostri rete energetiche, più gli strumenti di carbon negativity saranno indispensabili».
IL LIMITE ODIERNO
C’è un problema però: perché al momento la tecnologia è costosissima e ancora poco efficiente. L’impianto di Orca, il più potente dei 15 creati da Climateworks, al momento può assorbire 4mila tonnellate di CO2 all’anno. Un’inezia: è l’equivalente delle emissioni medie di 800 automobili. E ogni tonnellata assorbita ha un prezzo di 500-700 euro: una cifra straordinariamente alta. A confronto, un tonnellata assorbita da un albero invece si aggira tra 10 e 50 dollari, ma la superficie di nuove foreste necessaria per compensare tutte le nostre emissioni sarebbe grande come tutto il Nord America.
SPERANZE FUTURE
Dalle startup “assorbi-CO2” giungono comunque messaggi di speranza. L’obiettivo è arrivare ad assorbire 10 miliardi di tonnellate l’anno nel 2050, e arrivare a 20 entro la fine del secolo. Le aziende che sperimentano queste tecnologie sono sempre di più: oltre agli impianti come Orca, è ben avviato anche il progetto canadese che trasforma parte della CO2 assorbita in un carburante più pulito. I finanziamenti crescono, così come l’entusiasmo dei magnati e delle aziende. Elon Musk ha promesso investimenti nel settore per 100 milioni di dollari, mentre aziende come Microsoft sono pronte a mettere sul piatto cifre che raggiungono il miliardo. C’è petrò un’ultima controindicazione da considerare. Le tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2 sono preziose e saranno, probabilmente, decisive. Ma non devono farci pensare che sia una scorciatoia: l’impatto umano sul pianeta resta così incisivo che gli strumenti di compensazione sono solo una delle tante soluzioni necessarie.
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