Natasha Lusenti: «Tante finestre aperte: uso il mio pc come un tavolo da lavoro»

Sto per iniziare a scrivere questo pezzo, ma prima di selezionare “nuovo” sotto la voce “file” del mio programma di scrittura, siccome sto ancora usando Google Chrome decido di contare tutte le finestre che ho aperto e confessare pubblicamente: sono trentasei. Trentasei finestre aperte in Google Chrome? Aspetta, provo a ricontare. Sono trentasei. Mio fratello, che per vent’anni ha fatto il programmatore informatico, mi chiamava con spregio “l’utente medio” ogni volta che mi vedeva relazionarmi con un apparecchio elettronico per l’elaborazione dei dati. Io sorridevo, un po’ perché mio fratello mi è simpatico, un po’ perché non avrei saputo come difendermi. Quando veniva a trovarmi e gli chiedevo di dare un’occhiata al computer, prima di installarvi dei firewall (da cui era semplice desumere che sulla politica di accoglienza la pensiamo in modo opposto, e che ho regolarmente disinstallato di nascosto), per prima cosa diceva, muovendo la testa nervosamente da destra a sinistra: «Ma quante finestre hai aperto?». A distanza di anni, è la stessa cosa che mi chiede il mio ragazzo quando lo raggiungo, lui seduto a leggere un libro nella sua poltrona preferita, che è anche l’unica, e gli piazzo in grembo il mio portatile chiedendogli di risolvermi un problema che va dal ritrovamento di una password (quelle sì che: ma quante sono?) al cambiare il colore dello sfondo. «Posso chiudere qualche finestra?». Non ti azzardare proprio, rispondo io. E lui scuote la testa, divertito, e dice che ho una forma mentis analogica.

ELABORATORE

Sì, uso il computer come il mio tavolo da lavoro, e se sul mio tavolo da lavoro possono esserci dieci libri aperti con decine di post-it su pagine diverse non vedo perché l’apparecchio elettronico per l’elaborazione dei dati non possa sobbarcarsi la stessa organizzazione. Eh, sì, adesso che ci penso, lo uso come faccio con il mio cervello (che, infatti, di tanto in tanto semplicemente “crasha”). Grazie al mio ragazzo, ho scoperto da poco più di un anno che le app sul telefono vanno chiuse, almeno quando ne hai aperte all’incirca venti e ti chiedi perché il congegno sia così rallentato. E che anche i programmi sul computer vanno chiusi quando hai smesso di utilizzarli. Addirittura, mi ha detto, l’elaboratore ogni tanto andrebbe spento, almeno una volta al mese, ma nel mio caso andrebbero bene due volte all’anno. Missione che sono anche riuscita a portare a termine. In un’occasione. Dopo essermi fatta indicare il tasto apposito, visto che, a staccare la spina, quello rimaneva acceso, vai a sapere perché.

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