Il mondo deve al più presto «riconoscere l’esistenza di un nuovo diritto degli umani: il diritto alla libertà cognitiva».
Nita Farahani è una dei più importanti studiosi al mondo specializzati nelle implicazioni etiche, legali e sociali della neurotecnologia. Docente di Legge e Filosofia presso la Duke University, già membro della commissione bioetica dell’Amministrazione Obama, è autrice di un bestseller che sta facendo discutere – The Battle for Your Brain: Defending the Right to Think Freely in the Age of Neurotechnology – dedicato a spiegare i vantaggi e i rischi di un futuro, oramai vicinissimo, in cui i nostri cervelli non saranno più un mistero.
Professoressa Farahani, cos’è la neurotecnologia?
«Qualsiasi tecnologia che utilizzi un sensore in grado di leggere o rilevare o modificare l’attività cerebrale tramite un software con decodifica AI».
È già in commercio?
«Esiste una serie di tecnologie destinate al consumo che interpretano, visualizzano, decodificano e modificano il cervello e le sue funzioni. Sono dispositivi di nicchia che permettono, ad esempio, di meditare o di controllare i propri livelli di concentrazione».
Quando saremo in grado di muovere un cursore con il pensiero?
«Le tecnologie di base che lo permettono ci sono. Ma all’inizio del 2025, Meta lancerà il suo dispositivo di elettromiografia che capta l’intenzione di muovere la mano, o di muoverci attraverso uno schermo, mentre Apple permetterà, con un’interfaccia cervello-computer attraverso le risposte pupillari, di muoverci su uno schermo in base alla nostra semplice intenzione».
Qual è la ricaduta positiva di questa tecnologia?
«I sensori cerebrali rileveranno l’attività cerebrale nello stesso modo in cui i sensori cardiaci rilevano la frequenza cardiaca. Potremo accedere al nostro funzionamento neurologico in modi che non abbiamo mai potuto fare prima, con la possibilità di contrastare e affrontare tutto, dalla depressione al morbo di Alzheimer, di avere una comprensione e una valutazione accurata dei livelli di stress».
Che rischi vede in futuro?
«Allo stesso modo in cui la trasparenza permette l’accesso a noi stessi, la permette anche alle aziende, ai governi e ad altri. Finora l’unico spazio che abbiamo avuto per la privacy del pensiero è stato il nostro cervello. Ma una volta che i sensori sono in grado non solo di rilevare, ma anche di decodificare e potenzialmente anche di modificare ciò che accade nel nostro cervello, molte altre persone che hanno accesso a quelle informazioni possono usarle a fin di bene, ma anche per violare la nostra privacy mentale, per perseguitarci per i nostri pensieri e per interferire con il nostro pensiero».
C’è una difesa immediata?
«Le attuali leggi non forniscono protezione per la salvaguardia della privacy mentale».
Quindi c’è la necessità del riconoscimento di un nuovo diritto umano, il diritto alla libertà cognitiva?
«È il diritto all’autodeterminazione sul nostro cervello e sulle nostre esperienze mentali. Il diritto di accedere e modificare il nostro cervello se decidiamo di farlo, ma anche il diritto alla sicurezza della nostra privacy mentale, che significa limitare l’accesso e l’intercettazione dei nostri processi mentali e la protezione dalla manipolazione e dalla punizione dei nostri pensieri e delle immagini nella nostra mente».
Chi può condurre questa lotta?
«Nell’era digitale, una delle più grandi minacce che l’umanità deve affrontare è la perdita della capacità di pensare liberamente. A lottare dovrà essere ogni Paese che si preoccupi della prosperità umana, e soprattutto, nell’era dell’AI, che si preoccupi di come l’umanità sopravviverà, o di come l’umanità potrà competere con la tecnologia che abbiamo creato e che potrebbe essere più intelligente o avere maggiori capacità dell’uomo».
Si dovrebbe forse modificare la carta dei diritti dell’uomo?
«Penso di sì, che le Nazioni Unite possano avere un ruolo. Penso che tutti e tre i diritti che devono essere protetti – l’autodeterminazione, la privacy e la libertà di pensiero – siano inclusi nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite, ma non sono interpretati in modo tale da fornire davvero questo tipo di protezione. Quindi è necessario prima sancire il riconoscimento del nuovo diritto alla libertà cognitiva per poi aggiornare i diritti già esistenti».
Sarà difficile…
«Certo, ci possono essere ragioni politiche per cui alcuni Paesi si opporranno a un diritto di libertà cognitiva, perché è contrario al loro modo di operare per mantenere il controllo. Ma penso che altri Paesi sarebbero favorevoli, perché celebrano o proteggono la libertà di parola. Come si può avere libertà di parola se non si ha libertà di pensiero?».
Ci vorranno leggi specifiche?
«Penso semmai al sistema del bastone e della carota con la creazione di incentivi per le aziende a progettare i loro prodotti in modo da allinearsi meglio con la libertà umana. Penso a una specie di giuramento di Ippocrate, un insieme di principi fondamentali che le aziende dovrebbero incorporare».
Non sarebbe possibile rifiutarsi di usare queste tecnologie?
«Nel breve periodo sì, nel lungo periodo no. Finché ci sarà ancora la possibilità di usare un mouse o una tastiera, o auricolari che non si collegano all’attività cerebrale, va bene. Ma alla lunga sarà difficile, dato che queste tecnologie diventeranno sempre più obsolete e ci saranno pressioni competitive nella società e le persone che utilizzano i meccanismi più lenti resteranno indietro».