Poparazzi, l'anti-Instagram: l'ultima (passeggera) moda dei social

Altroché i “15 minuti di gloria” di cui parlava Andy Warhol quando pensava a un futuro dove tutti avrebbero trovato, anche se solo per un attimo, la celebrità. Oggi possiamo tranquillamente parlare di “15 milioni di gloria”: ma anche 2 milioni, 5, o 50: non dollari, bensì utenti. Quelli che bastano a un nuovo social network per comparire sulla scena, conquistare successo e visibilità e poi, nella maggior parte dei casi, implodere su se stesso. L’ultimissimo caso è quello di Poparazzi: chiamata dalla stampa internazionale e dal chiacchiericcio online “l’anti-Instagram” o anche “il social senza selfie”. Sull’app non si possono caricare le proprie immagini, ma solo gli scatti fatti agli amici. Una volta caricata un’immagine, il soggetto immortalato riceve una notifica e può dare il consenso alla pubblicazione: lo scatto, insieme a tutti gli altri approvati, andrà a far parte del suo profilo. La popolarità quindi non si determina più da quanti follower si hanno, ma da quanti “paparazzi” amici ci hanno fotografato.

LA PARABOLA

Due settimane fa Poparazzi è stata per alcuni giorni l’app più scaricata su iPhone e iPad, grazie alla spinta dei giovanissimi statunitensi, che hanno trovato questo social un ambiente divertente, originale e semplice da usare. Un successo che ha toccato anche l’Italia, dove è stato raggiunto un picco di circa 20.000 unità quotidiane. Ma oggi la magia è già svanita: Poparazzi si trova al 16° nella classifica delle app social più installate, 140° posto nella classifica generale, più in basso dell’app per simulare il test della patente o quella dell’INPS. Da matricola a meteora in meno di un mese. Le criticità emerse sono tante: monotonia del meccanismo, problemi tecnici (è ancora in versione beta) e l’indisponibilità su Android e gli altri sistemi operativi mobili.

I PRECEDENTI

Poparazzi non è il primo né l’ultimo social a esplodere (e forse implodere) con rapidità micidiale. Nel corso degli anni ne abbiamo visti tanti arrivare quasi dal nulla (l’esempio massimo è TikTok, diventato “virale” tra il 2018 e il 2019) ma solo pochi sono riusciti ad affermarsi. Facebook, Instagram, Twitter oggi sembrano “too big to fail”, troppo grandi per fallire, ma moltissimi altri siti e app social sono spariti nel nulla: su tutti MySpace, che è stato divorato dalla forza tecnologica dei competitor. L’ultima meteora potrebbe essere Clubhouse, che all’inizio dell’anno sembrava stesse per rivoluzionare il mondo dei social con le sue “stanze” per conversazioni audio in diretta, ma che poi ha iniziato a svuotarsi quando è svanito “l’hype”.

SEI SECONDI

Come con le stelle, ogni social morente ha il suo modo diverso, e a volte imprevedibile, di scomparire. Ci sono certi social che anticipano troppo presto innovazioni tecnologiche ancora grezze (come le dirette di Meerkat e Periscope, poi copiate da Facebook), altri che non sanno aggiornarsi. Ci sono alcuni social che esplodono senza preavviso, pur sembrando in ottima salute. È il caso di Vine, un esempio che fa scuola: su Vine si potevano condividere video di soli sei secondi (molto prima delle storie da 15 secondi di Instagram) e aveva attirato 200 milioni di utenti, tanto che nel 2013 Twitter aveva deciso di acquistarlo, anche se presto è stato costretto a chiuderlo, nella disperazione di chi lì passava le ore. Tra loro l’influencer Brittany Furlan, la “viner” più seguita al mondo, che è caduta in depressione mentre il suo pubblico abbandonava il social, come ha raccontato nel documentario Netflix “The American Meme”. E allora ecco la morale: come le mode, i social passano. Resta l’amaro in bocca per averci perso così tanto tempo dentro.

Potrebbe interessarti anche

Ultimi articoli pubblicati