C'è una cosa che la recente vicenda delle sovradimensionate influencer Francesca Mapelli e Imen Jane ci ha insegnato; ed è quella che i follower (peraltro pochini) o l’autoreferenzialità sono nulla senza il rispetto. Soprattutto se le persone a cui manchi di rispetto non sono personaggi pubblici, ma semplici lavoratori. Piccolo riassunto dell’episodio: il caos si è scatenato dopo che Imen Jane ha pubblicato un post in cui si sente l’amica e collega parlare con il gestore di uno stabilimento balneare di Palermo. Questo il testo integrale del post: «Qui mentre Francesca Mapelli racconta al proprietario del lido come ci sia rimasta male oggi quando una commessa non le ha saputo raccontare la storia del negozio. La ragazza ha risposto dicendo di non essere pagata abbastanza per informarsi. A quel punto Mape le ha detto che se si fosse informata abbastanza avrebbe potuto avere l’occasione di essere pagata tre volte tanto come guida turistica». Nel video, a cui questo testo fa da didascalia, si sente la Mapelli dire: «Invece di tre euro all’ora te ne prendi trenta a fare la guida per Palermo a noi milanesi rompicoglioni».
IL VIDEO
Neanche a dirlo, in epoca di indignazione compulsiva, è bastato questo a far diventare il video virale, a far finire la storia in tendenza e a scatenare una marea di commenti al vetriolo. Ora, posto che anche le reazioni sguaiate degli utenti sono assolutamente esecrabili, ma benedette ragazze bisogna spiegarvi davvero tutto? Vi autoproclamate influencer e poi scivolate sulla più banale delle bucce di banana social? È ovvio, quasi fisiologico, che se dall’alto della vostra puzza sotto il naso vi mettete a dare pubbliche lezioni di vita, con tono denigratorio, a un’onesta lavoratrice i social vi si rivolteranno contro. E, pur ammettendo che il mondo della rete, dove tutto passa ma niente si cancella, abbia ancora il dente avvelenato nei confronti di Imen per quella storia della laurea in economia inventata, la strategia più furba sarebbe quel del low profile non del pavoneggiarsi per la propria smartitudine ai danni di una commessa. E forse la cosa più incredibile della faccenda è proprio questa: l’assenza di consapevolezza del proprio ruolo e delle responsabilità che quel ruolo implica. Se hai deciso di usare la rete come un megafono, quel megafono lo devi usare con responsabilità. Se vuoi denunciare qualcosa, denuncia fatti che abbiano una qualche rilevanza pubblica, se vuoi criticare critica chi ha una visibilità o una posizione che giustificano le critiche (politici, giornalisti, sportivi, attori, virologi, star della tv), ma non la commessa di un negozio di Palermo.
BOOMERANG
Perché si tratta di un comportamento respingente, sostanzialmente inutile, immensamente classista e soprattutto perché nel racconto, anzi nello story-telling come amano definirlo gli influencer, non aggiunge assolutamente niente e alla fine ti torna indietro come un boomerang. Ma forse a sorprendere non è neppure la mancanza di quel minimo di responsabilità espressiva che per chi si espone sui social con consapevolezza dovrebbe essere l’ABC. Quello che sorprende è che si possano postare simili contenuti boomerang senza essere sfiorati dal dubbio di fare una colossale cavolata. Come spesso accade in questi dibattiti social non sono mancate anche alcune voci controcorrente, qualche timida difesa delle due ragazze, il cui grottesco scivolone è stato derubricato a peccato di gioventù. Per carità ci sta. Chi non ha mai fatto qualche stronzata scagli la prima pietra. Ma temo che a una lettura più profonda la vicenda sia rivelatrice di un rapporto malato e superficiale con i social dei quali molti influencer comprendono istintivamente i vantaggi (la notorietà, i like, qualche brand che ti regala una borsa per un paio di story) ma dei quali continuano a ignorare la reale potenza. La loro cassa di risonanza, gli implacabili meccanismi dell’amplificazione. Che non lo capisca mio zio ottantenne che si ostina a insultare Salvini sotto ogni suo post con ingiurie ai limiti della diffamazione ci può stare, ma se a comportarsi come gli avventori da bar chiamati in causa da Umberto Eco nella sua celebre massima sulle legioni di imbecilli siano due native digitali che per giunta con i social ci guadagnano, allora abbiamo un problema.
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