«Riparare! Riparare tutto!», esclama Giancarlo Giannini chino sul suo tavolo di lavoro ingombro di cacciaviti, cavi, pinze, microcircuiti. Sotto le sue mani sapienti sta riprendendo vita un vecchio orologio elettronico a parete che aveva deciso di fermarsi. «Non so ancora dove metterlo, intanto lo rimetto in funzione», spiega il grande attore. A 78 anni, forte di una carriera costellata di riconoscimenti, compresa la stella che gli è stata dedicata sulla Walk of Fame di Hollywood, è uno dei talenti italiani più conosciuti e amati nel mondo. Ma anche un genio della tecnologia, una passione che ha sempre coltivato parallelamente alla recitazione: è stato lui, diplomato perito elettronico prima di entrare all’Accademia di Arte Drammatica, a progettare nel 1992 la giacca luminosa «parlante» indossata da Robin Williams nel film Toys di Barry Levinson. E tante altre invenzioni.
L’Unione europea si è schierata a favore della riparabilità degli oggetti tecnologici: cosa ne pensa?
«È una decisione sacrosanta. L’obsolescenza programmata è inaccettabile. Tutto dev’essere recuperabile, smettiamola di buttare le cose al primo guasto. La casa nasconde dei tesori, quasi sempre recuperabili: come tanti, anch’io li ho scoperti durante il lockdown rivoltando armadi e soppalchi».
Ha trovato degli altri apparati tecnologici da riparare?
«Ho rimesso in funzione otto registratori elettronici a nastro: mi sono sempre stati utilissimi per incidere le battute in inglese dei miei film e riascoltarle in auto. Sono innanzitutto un perito elettronico, ho fatto l’attore per caso».
Ci racconta com’è andata?
«Da piccolo volevo diventare costruttore aeronautico. Per cinque o sei anni ho seguito dei corsi di aeromodellismo. Esperienza formidabile: mi ha insegnato pazienza, metodo, precisione, tutte doti che mi sarebbero state utilissime anche in palcoscenico».
E poi cosa è successo?
«Negli anni ’60 frequentai l’Istituto tecnico e industriale “Alessandro Volta” di Napoli scegliendo il ramo elettronica. Appena diplomato venni chiamato in Brasile a lavorare sui primi satelliti artificiali, ma prima di partire accompagnai un amico ai corsi amatoriali di recitazione. Ci provai anch’io, mi piacque, venni preso all’Accademia d’Arte Drammatica e con una borsa di studio di 40mila lire al mese mi trasferii a Roma. Ma anche da attore, non ho mai dimenticato la passione per le invenzioni».
Com’è arrivato a progettare la “giacca intelligente” di Toys?
«Proposi a Levinson il mio giubbotto che emetteva suoni in sei lingue diverse compreso il giapponese e, attraverso i microchip, reagiva ai movimenti del corpo. Per realizzarlo ho dormito pochissimo, ma la parte più difficile è stata far brevettare negli Usa la mia invenzione che, alla fine delle riprese, Robin Williams volle tenere per sé».
Cos’altro ha inventato negli anni?
«Tanti giocattoli per i miei figli. E un portachiavi sensibile al tocco delle dita: s’illumina al buio e indica qualche chiave usare. Insieme con un guanto che produceva musica, provai a brevettarlo in Cina ma non andò a buon fine. Poco male, ho continuato a divertirmi in casa. I miei figli da piccoli mi aspettavano con il cacciavite in mano, pronti a smontare e rimontare gli oggetti».
Lei continua a farlo?
«Certo, è una pratica rilassante e mi aiuta a capire il futuro della tecnologia. Ma amo anche lavorare il legno e la pietra. Sono l’idolo di ferramenta e falegnamerie. Non so quante librerie ho costruito e nella mia casa di campagna in Toscana ho riprodotto la stella con il mio nome inaugurata sulla Walk of Fame di Hollywood».
Si aspettava l’esplosione digitale?
«Sì, e ne ho avvertito subito i pericoli. Internet è utile ma può rivelarsi un diavolo che entra nelle nostre vite rubandoci i dati, spiando le nostre abitudini, spingendo perfino i più giovani a compiere gesti estremi».
Ma lei usa smartphone e computer?
«Con moderazione. Non sto incollato al telefono, guardo poco le mail. In attesa di completare il film di Sergio Rubini I fratelli De Filippo in cui interpreto Eduardo Scarpetta, mi diverto a trafficare alla mia maniera, ricorrendo ancora ai sistemi empirici: una volta che il pc è andato in panne l’ho messo in padella e gli ho dato una scaldatina, ha funzionato. Continuo a pensare che l’elettronica sia preferibile all’ubriacatura digitale».
Perché?
«Insegna a cavarsela da soli e, soprattutto, stimola la fantasia, una dote che oggi rischia di perdersi. Ma giocare con l’elettronica può aiutarci a ritrovarla».
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