Auto elettriche e smartphone, ma anche e-scooter e telecomando della tv: l’Europa è pronta per la rivoluzione delle batterie. Obiettivo: da una parte, combattere l’usa e getta e l’inquinamento ambientale – in particolare dicendo addio alle pile non ricaricabili – ma dall’altra, soprattutto, rendere il settore più sostenibile, garantendo il riutilizzo e il riciclo degli accumulatori, in modo da rafforzare l’autosufficienza del tessuto industriale del continente. Secondo le stime di Bruxelles, ogni anno in Europa vengono generati quasi 2 milioni di tonnellate di rifiuti di batterie: almeno 35mila tonnellate – il 49% delle batterie portatili – fuoriescono dai circuiti del recupero e del reimpiego e finiscono nelle discariche municipali (l’Italia non brilla in classifica, piazzandosi nella bottom 10). Proprio il 22 aprile, peraltro, si celebra la Giornata della Terra.
GLI OBIETTIVI
Ordini di grandezza che spiegano la necessità di intervenire con un insieme di regole comuni a tutti, all’interno del maxi-pacchetto del Green Deal che vuole realizzare la neutralità climatica in Europa entro il 2050. L’Ue ambisce a governare l’intero ciclo di vita del prodotto, così da ancorare anche pile e accumulatori ai principi dell’economia circolare. Soprattutto visto che, con l’accelerazione sul fronte della digitalizzazione dell’economia e della mobilità elettrica dopo la pandemia, la domanda globale di batterie potrebbe aumentare di 14 volte (con il 17% in provenienza dall’Ue). L’impennata delle macchine elettriche dà bene l’idea della portata del fenomeno: secondo le previsioni, entro il 2030 saranno almeno 30 milioni i veicoli a emissioni zero immessi sulle strade Ue. Ancora cinque anni fa il comparto era quasi inesistente, ricordano a Bruxelles. A prendere l’iniziativa era stata, a fine 2020, la Commissione europea, presentando un’articolata proposta di regolamento per sostituire una vecchia direttiva del 2006, e disciplinare tutte le tipologie di batterie: portatili, industriali, per autoveicoli e veicoli elettrici (tra cui pure e-scooter ed e-bike). Nelle ultime settimane è toccato ai due co-legislatori dell’Unione, Parlamento europeo e Consiglio – l’istituzione dove siedono i rappresentanti dei 27 Stati membri –, mettere a punto le rispettive posizioni negoziali, sulla base delle quali cominceranno le trattative sulla nuova normativa. «Le batterie sono una tecnologia chiave per promuovere la mobilità sostenibile e immagazzinare energia rinnovabile. Il regolamento definisce un nuovo approccio per aumentare la circolarità delle batterie e introduce nuovi standard di sostenibilità che dovrebbero diventare un punto di riferimento per l’intero mercato globale delle batterie», ha spiegato l’eurodeputata del Pd Simona Bonafè, che è la relatrice del testo per il Parlamento europeo.
Si comincia per l’appunto con l’identikit del prodotto, che dovrà essere disponibile dal 2023: la nuova disciplina che dettaglia la due diligence prevede che pile e batterie debbano essere dotate di un’etichetta – una sorta di passaporto della batteria – che riporti in modo visibile, chiaro e indelebile le informazioni necessarie a identificarle e le caratteristiche principali: tra queste informazioni, contenute in un codice QR facilmente scansionabile, rientrano la durata di vita, la capacità di ricarica (o l’impossibilità di farlo), l’obbligo di raccolta differenziata, la presenza di sostanze pericolose e i rischi per la sicurezza. Per le batterie portatili non ricaricabili a uso comune – ad esempio quelle alcaline inserite nel telecomando –, la Commissione valuta l’eliminazione graduale a partire dalla fine del 2027, lasciando in tal modo sul mercato solo le pile ricaricabili. Quella che prende forma a Bruxelles, tuttavia, non è una caccia alla streghe. Nei palazzi Ue sono ben consapevoli che il fenomeno delle batterie non ricaricabili non è assimilabile a quello della plastica usa e getta, oggetto di una crociata che ha portato all’effettiva messa al bando a partire dalla scorsa estate: nel caso delle pile si parla comunque di centinaia di utilizzi prima dello smaltimento.
L’ORIENTAMENTO
Tuttavia, la rotta è segnata: l’obiettivo è spingere fuori dal mercato i prodotti dalle caratteristiche peggiori e “premiare” quelli dall’impronta circolare. Ecco che, ad esempio, si istituisce l’obbligo in capo alle aziende produttrici di rendere facilmente sostituibili da chiunque le batterie di pc, tablet e smartphone: un’indicazione che la Commissione ha appena ribadito anche nel suo documento di orientamento sull’economia circolare, perché «vogliamo farla finita con il modello del prendi-fai-rompi-butta». Il proposito è anche un guanto di sfida alle Big Tech: si vuole rendere possibile la riparazione dei dispositivi mediante l’estrazione fai-da-te (proprio come una volta) delle batterie che vi si trovano all’interno. I pezzi di ricambio dovrebbero poi essere reperibili sul mercato fino a 10 anni. Accanto alle preoccupazioni per ambiente e consumatori, nel ragionamento di Bruxelles c’è pure un rilievo che dà conto delle preoccupazioni geopolitiche delle istituzioni Ue, impegnate a dar forma all’autonomia strategica del continente anche sul fronte industriale, come dimostra ad esempio l’accelerazione sull’indipendenza nella produzione dei microchip. Spiegano in Commissione che la produzione di batterie dipende fortemente dalle importazioni di materie prime critiche, in particolare cobalto, litio, nichel e manganese. Metalli a impatto ambientale e sociale molto elevato, sia per l’intensità dell’attività estrattiva, sia perché nelle miniere extra-Ue vengono spesso sfruttati minori. Istituendo l’obbligo di trattamento e riciclo e fissando target ambiziosi (tra il 65% e l’80%, secondo le proposte sul tavolo), l’Europa vuole far sì che questi elementi rimangono nel ciclo produttivo dell’Unione il più a lungo possibile.
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